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Il flop dei centri federali: sono costati 9 milioni di euro, aperti 3 ore a settimana
Quanto volte avete sentito dire che per far rinascere i vivai bisognerebbe adottare il modello tedesco? O magari quello belga? Carlo Tavecchio, durante i suoi tour elettorali, l’ha ripetuto spesso sventolando al riguardo una delle principali novità imposte dalla sua gestione: i centri di formazione federali.
Con l’obiettivo di produrre generazioni di campioni come quelle cresciute in Belgio e Germania da noi sono stati creati i “Centri federali territoriali”: il progetto della Figc ne prevede 200, finora ne sono sorti 20, molti negli ultimi giorni. Investimento complessivo da 9 milioni di euro, altri 9 all’anno ne serviranno quando il programma sarà a regime. Una proposta, quella dei centri di formazione, auspicata per anni e portata avanti dalla gestione Tavecchio con il Settore Giovanile scolastico, per promuovere «lo sviluppo e il consolidamento della tecnica individuale, l’applicazione della tecnica nelle situazioni di gioco e la formazione del calciatore pensante».
I modelli europei tanto cari all’attuale numero uno della Figc sono però assai lontani: nei numeri — ma questo era prevedibile, visto che siamo appena all’inizio — e soprattutto nei metodi. Prima di tutto, per una questione di tempo. Il piano italiano prevede un solo giorno di lavoro a settimana, il lunedì, e per appena due ore e mezzo. Troppo poco per il centinaio di ragazzi raccolti in ogni centro: 50 sotto i 14 anni e divisi in due gruppi, poi 25 under 13 e altrettante ragazze under 15. Che possono contare su uno staff ricchissimo, con responsabile organizzativo, responsabile tecnico, medico, nutrizionista, fisioterapista e psicologo, oltre a tre allenatori (uno per ogni categoria), preparatore fisico, preparatore dei portieri. Tutti nuovi posti di lavoro.
Finora sono circa 2mila i giovani coinvolti. Ma i ragazzi che finiranno nel monitoraggio dei selezionatori sono tutti già tesserati per altri club, profili quindi introdotti al calcio: il programma infatti non prevede scouting sul territorio, nelle scuole, nei campetti sterrati o nei paesini dimenticati. Insomma, non consente di allargare l’accesso allo sport o la base del movimento sportivo a chi non ne faccia già parte. Inoltre la Figc non prevede di “creare” nuovi centri federali, ma si appoggia a strutture già esistenti. Il prossimo centro, per fare un esempio, potrebbe sfruttare il Bottagisio, casa del Chievo.
In Germania, per citare l’eccellenza europea, funziona diversamente. In 15 anni sono stati investiti 300 milioni di euro, create strutture in grado di monitorare ragazzi in tutto il Paese. «Se un talento nasce tra le montagne, i nostri scout lo scopriranno», è il motto che vale nei 390 «training camp» tedeschi, che pescano — grazie al monitoraggio di 600mila bambini all’anno anche nei campetti periferici e nei tornei scolastici — tantissimi ragazzi non ancora tesserati per alcuna società. Tra i vari campi si muovono 29 coordinatori per verificare l’uniformità dell’educazione sportiva e tecnica, dei metodi e delle teorie applicate e gli allenatori devono seguire un corso specifico federale. Gli atleti migliori vengono poi portati nelle circa 40 Eliteschulen, le scuole di eccellenza che devono soddisfare vari standard di qualità passando per la verifica di ispettori federali che aggiornano ogni tre anni i parametri. E formare ragazzi pronti per i top club europei. L’equivalente in Belgio delle Top Sport, 8 accademie che pescano i migliori prodotti dei centri federali, dove 200 osservatori selezionano ragazzi anche sotto i 12 anni, per formarli con stage di 4 giorni a settimana. Dove sono sbocciati talenti come Mertens, De Bruyne, Witsel, Courtois.
Il modello italiano in questo senso manca di programmazione. Nonostante si ponga l’obiettivo di offrire un «percorso coordinato di formazione tecnico-sportiva », in realtà è proprio il coordinamento tra i vari centri che rischia di venire meno. Non esiste un network di osservatori che giri per verificarne l’uniformità di metodologie: il coordinamento è affidato alle riunioni della Direzione centrale, a un decalogo di norme comportamentali (ce ne è uno anche per i giovani atleti) e alla programmazione didattica fornita. Un piccolo passo. Ma non ancora sufficiente a raggiungere gli obiettivi dichiarati.