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  • Il fallimento della serie C

    Il fallimento della serie C

    Fra pochissimi anni la serie C, che davvero non riusciamo a chiamare LegaPro, non esisterà più. La maggior parte dei procuratori lo dà per scontato, consigliando ai propri assistiti di rimanere attaccati al proprio posto di riserve in serie B piuttosto che rischiare in una categoria inferiore. La serie C smetterà di esistere non perché alla gente interessi meno rispetto a venti anni fa. Anzi, nell’Italia che fa del campanilismo una religione un campionato del genere ha ancora una ragione per così dire ‘culturale’ di esistere. Quanto ai numeri, siamo ancora su affluenze da serie A di basket o pallavolo anche in piccole piazze.

    Come ha spiegato il presidente della LegaPro Mario Macalli, il problema è la sostenibilità finanziaria della categoria, che riguarda la maggioranza delle 77 società. Non per motivi legati al calcio, lì i conti non sono mai tornati e l’attività è da sempre regolarmente in perdita, ma perché secondo Macalli (ma anche secondo la realtà) vanno male le attività principali dei proprietari dei club. Traduzione: è finita una certa Italia in cui c’erano centinaia di imprenditori che avevano la possibilità e l’utilità (annacquamento degli utili, pagamenti estero su estero, sponsorizzazioni farlocche) di far sparire parte degli utili delle loro attività. Con metodi formalmente legali o direttamente creando del ‘nero’. In sport diversi dal calcio la situazione è più visibile: lì le squadre spariscono dalla sera alla mattina, mentre il calcio ha ancora la possibilità di attivare meccanismi ‘sociali’ per rimandare il fallimento.
    Tuttora, nell’Italia del 2012, ci sono giocatori che nei Dilettanti (figurarsi in LegaPro) chiedono e ottengono ingaggi da 5mila euro al mese di ‘rimborsi spese’: è evidente che il giochino può reggere solo fino a quando questi soldi, neri o bianchi, esistono. Dire che il problema della LegaPro è il calcioscommesse fa guadagnare qualche titolo di giornale, ma non è certo la credibilità il problema della categoria anche se tutti gli addetti ai lavori la pensano come Serse Cosmi in quel famoso fuori onda (Metà delle partite è finta). Il problema è che oggi esistono sempre meno imprenditori, onesti o disonesti che siano, che abbiano l’interesse e la capacità di mantenere in vita attività sportive in perdita strutturale. Per questo la parola ‘fallimento’, pronunciata da Macalli, è qualcosa che diventerà ben presto di attualità. Non è catastrofismo, ma solo un segno (negativo) dei tempi.


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