Il dramma dell'ex Milan Visin, morto suicida: 'Mi vergogno di essere nero, non voglio essere visto come un immigrato'
E' un dramma nel dramma quello di Seid Visin, il ragazzo di origini etiopi di 20 anni con un passato nelle giovanili del Milan scomparso tragicamente nelle scorse ore. Come ricostruisce Il Corriere della Sera, si tratta infatti di suicidio, le cui motivazioni si possono ritrovare anche in una lettera, che pure il ragazzo ha scritto due anni fa, inviata ai suoi amici e alla sua psicoterapeuta. "Io non sono un immigrato, Sono stato adottato da piccolo (...). Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto». (...) «Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro».
E ancora: «Dentro di me è cambiato qualcosa», scriveva Seid. «Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco. Facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati (...) come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati. Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”».
E ancora: «Dentro di me è cambiato qualcosa», scriveva Seid. «Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco. Facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati (...) come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati. Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”».