Lazio al capolinea: Lotito via tra i fischi
Disastro Lazio. La squadra biancoceleste impatta duramente con la realtà, e lo Sparta Praga bissa le tre reti rifilate al Kuban Krasnodar, stavolta all’Olimpico, stavolta contro l’ultima italiana rimasta in Europa. Pioli chiede la prova più importante della stagione, e dopo nemmeno 15’ la Lazio è fuori dall’Europa League, 1-2 micidiale, che diventa terza rete dello Sparta. Scocca l’ora della contestazione: la tribuna Monte Mario contesta ferocemente il presidente Lotito, seguita da tutto lo stadio, che riserva ugual trattamento alla squadra. Fischi al termine del match, olè ironici durante il secondo tempo. Il disastro è servito: tecnico, tattico, motivazionale. Ma l’ambiente guarda ai preliminari di Champions, al mercato, e incolpa, insieme alla squadra, anche la dirigenza.
SENZA OBIETTIVI - La contestazione contro Lotito, che dura oramai da anni, trova il suo punto più alto nel punto più basso della stagione: dopo aver fallito l’approdo alla Champions League la squadra di Pioli si è inabissata, ha perso certezze, ed il campionato è stato cartina di tornasole di scoramento e confusione. Settimo posto, fuori da tutti i giochi per una futura qualificazione in Europa, la Lazio proprio all’Europa, quella presente, si aggrappa, complice un cammino senza neppure una sconfitta. Il passaggio del turno contro il Galatasaray fa ben sperare, l’urna riserva un avversario alla portata, lo Sparta Praga. Dopo il pareggio in terra ceca, mister Pioli chiede alla squadra di provare a vincere l’Europa League, gli fa eco il capitano, Lucas Biglia. Dopo 15’ la squadra è fuori dall’Europa, ma in campo praticamente non è mai entrata: e se l’approccio alla partita delle partite è rinunciatario, molle, infantile, molta colpa va addossata a chi di questa squadra deve essere il primo motivatore, a Pioli, Stefano, che non sembra più neppure in grado di condurre a termine dignitosamente la stagione.
AMBIENTE ROVENTE E SCENARI - A questo punto la tifoseria guarda solo al derby, ultima gara stagionale ad avere un qualche impatto emotivo, ma soprattutto fa la conta degli errori. E sul banco degli imputati sale la dirigenza: il direttore sportivo Igli Tare, reo di aver costruito una squadra arruffona, fidandosi dei pilastri della scorsa stagione, affiancandogli giocatori magari anche interessanti, almeno in prospettiva futura, ma del tutto inappropriati in sede di rinforzo effettivo dell’11 titolare. Al presidente Lotito l’accusa più dura: non potere, o peggio ancora non voler mai compiere il definitivo salto di qualità. Sulla soglia dell’Europa che conta la società ha ritratto la mano, senza supportare Pioli e la squadra, lasciandoli in balia delle loro insicurezze, nate e alimentata dopo un precampionato disastroso, e un’uscita di scena ai preliminari di Champions che fa rima con harakiri. La punta tanto invocata, a sostituire Klose, avanti negli anni, e l’impalpabile Djordjevic, è arrivata con colpevole ritardo. I rapporti con i tifosi, già ai minimi storici in passato, che potevano e dovevano essere sanati con continuità di risultati con la scorsa stagione e l’insperato terzo posto, si inabissano, come le prospettive stagionali, il panorama da qui a giugno, e le speranze di Pioli di poter sperare nella riconferma, che a questo punto non è solo irrealistica ma, urla l’ambiente, anche immeritata. Il disastro Lazio è servito: in piena tempesta, si consuma l’ultima oasi felice, quasi serena, della stagione 2015/16. E quel che rimane è lo Sparta a festeggiare, gli sguardi bassi dei giocatori della Lazio, e il presidente Lotito che lascia velocemente la tribuna, sotto un diluvio di fischi.