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  • Il ct del Bangladesh a CM: 'Tutte le sere mi recavo nel locale dell'attentato in cui sono stati uccisi i nove italiani'

    Il ct del Bangladesh a CM: 'Tutte le sere mi recavo nel locale dell'attentato in cui sono stati uccisi i nove italiani'

    • Simone Togna
    L’attentato terroristico di Dacca ha certamente sconvolto l’Italia.
    Nove nostri connazionali sono morti, presumibilmente dopo sevizie e torture terribili, andando così incontro ad una fine orribile e straziante. Vittime innocenti, la cui “colpa” è stata solo quella di non saper recitare i versi del Corano.

    Calciomercato.com ha raggiunto in esclusiva Fabio Lopez, tecnico giramondo che ha costruito la sua carriera all’estero andando ad insegnare calcio ed ottenendo sempre ottimi risultati ad esempio in Lettonia, Malesia, Indonesia, perfino nelle Maldive, che adesso è pronto per la sua nuova avventura in Oman, all'Al-Oruba, top club che disputerà anche la Champions League Asiatica, ma che sarebbe potuto essere un’ulteriore vittima della carneficina in Bangladesh, poiché solo fino a pochi mesi fa era proprio il C.T. della Nazionale e abitualmente frequentava il ristorante dove è avvenuta la strage.

    Partiamo dallo sport, come giudica la sua avventura come C.T. del Bangladesh?
    Calcisticamente parlando è stata un’esperienza importante, abbiamo partecipato alle qualificazioni del Mondiale, disputando ad esempio una grande partita contro l’Australia. Non capita a tutti un’occasione del genere, arrivata dopo molti sacrifici e evidentemente un ottimo lavoro in Asia.

    Non aveva però paura che potesse succederle qualcosa di molto brutto?
    All’inizio no, perché quando sono andato non c’era il problema del terrorismo. Ma in ogni caso non avrei mai e poi mai portato la mia famiglia. Poi però c’è stato l’assassinio di Cesare Tavella e tutto è cambiato. Dopo quel giorno la mia vita e quella di tutti gli stranieri si è trasformata. Mi è stato consigliato di andare in giro lo stretto necessario, avrei potuto anche rassegnare le dimissioni ma ho voluto proseguire il mio percorso. E devo dire di essere stato molto fortunato perché quasi tutte le sere mi recavo nel locale dove è avvenuto l’attentato che ha ucciso i nove italiani. Ed è stata durissima apprendere quanto successo perché conoscevo molte delle vittime, a prescindere che non si può morire solo perché si sta bevendo un caffè nel posto sbagliato.

    Quindi si può dire che dopo pochi mesi in Bangladesh temesse per la sua vita?
    Assolutamente sì. La paura era tanta ed è per questo che trascorrevo moltissimo del mio tempo chiuso in albergo. Meno male che abbiamo disputato due incontri su tre delle qualificazioni al Mondiale all’estero e quindi effettivamente su quattro mesi ne ho vissuto solo uno e mezzo effettivo a Dacca. 

    E si percepiva la possibile presenza dell’Isis?
    Il problema più grande è che si tratta di un Paese poverissimo che non riesce ad aiutare e ad avere un controllo sulla popolazione locale. Sono 160 milioni di abitanti su un territorio non molto vasto. Per questo si tratta di una Nazione sovrappopolata ed incontrollata. Un Paese non facile dove vivere. C’è tanta brava gente ma credo sia purtroppo semplice per queste cellule terroristiche inserirsi e mimetizzarsi in questo contesto sregolato. 

    E che rapporto aveva con i suoi calciatori?
    Si sono comportati da professionisti sul campo e fuori dal rettangolo verde di gioco mi sono stati anche vicini dopo l’omicidio di Tavella, esortandomi a non mollare. 

    Cambiamo argomento e parliamo di calcio giocato. Perché ha deciso di girare il mondo?
    Il mio sogno e il mio lavoro è quello di allenatore professionista. Sono riuscito a realizzarlo fuori i confini nazionali e ne vado fiero. Adesso riparto dall’ all'Al-Oruba, in Oman, in top club, disputeremo tante competizioni importanti e come tutti gli allenatori di calcio parto per vincere, non per arrivare secondo o terzo.

    Qual è il giocatore più forte che ha allenato?
    Su tutti devo dire Ahn Jung-hwan, quello che buttò fuori l’Italia al Mondiale nippo-coreano del 2002. Ci siamo trovati insieme in Indonesia e grazie anche al suo contributo ottenemmo l’obiettivo prefissato dalla società. Fece la differenza anche a fine carriera, e probabilmente ti dico che l’avrebbe potuta fare maggiormente anche nel nostro campionato.

    Chiudiamo con la domanda più scontata di tutte. Prima o poi allenerà anche in Italia?
    Vediamo. Per ora mi sono tolto tante soddisfazioni all’estero e guidare una Nazionale a soli 43 anni non è cosa da tutti. Ma ora devo solo concentrarmi sulla mia prossima avventura in Oman e poi chi lo sa…

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