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Il Crotone non sarà confiscato: i beni dei Vrenna sono di provenienza legittima
Per l’accusa, invece, i fratelli Vrenna (difesi dagli avvocati Francesco Gambardella e Francesco Verri) sarebbero stati “imprenditori attigui al fenomeno mafioso per essersi, sin dalla genesi della loro attività, accordati con le consorterie criminali e segnatamente con quella denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura”. A puntare il dito contro il patron del Crotone era il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura. Il pm Domenico Guarascio, contestando la sentenza di primo grado oggi confermata, nelle motivazioni dell’Appello aveva parlato di motivazione “illogica ed elusiva dei presupposti di applicazione della misura prevenzionale”. Secondo la Dda, infatti, il gravissimo errore in cui è incorso il Tribunale quello di aver travisato completamente i contenuti delle risultanze istruttorie di cui all’operazione ‘Puma’ sempre nell’ostinata ricerca di intravedere il Vrenna Raffaele quale persona offesa delle vicende a lui contestate anziché incentrarsi sui dati indiziati e indifferenti la propria pericolosità”.
Il processo concluso oggi davanti alla sezione Misure di prevenzione della Corte d’Appello, si intreccia con un altro procedimento penale ancora in corso e per il quale il pm Guarascio, nelle settimane scorse, ha chiesto la condanna del presidente del Crotone Calcio a 2 anni e 6 mesi di carcere per intestazione fittizia. È accusato, infatti, di aver tentato di scongiurare il sequestro delle sue società quando era sotto inchiesta per associazione mafiosa, estorsione, corruzione e voto di scambio. Tutte contestazioni per le quali Raffaele Vrenna ha rimediato un’assoluzione definitiva. Tuttavia, il 20 gennaio è stata fissata l’udienza per l’accusa di intestazione fittizia nel processo che vede imputati anche il fratello Giovanni Vrenna (per il quale sono stati chiesti 2 anni e 6 mesi) e l’ex procuratore di Crotone Francesco Tricoli (la richiesta per lui è di un anno e 8 mesi) a cui il presidente della squadra di Serie A aveva affidato la gestione del trust per la sua holding. All’epoca, secondo gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia, la scelta di ricorrere al magistrato, appena andato in pensione (e la cui moglie era la segretaria personale di Vrenna), sarebbe stata finalizzata a eludere eventuali misure patrimoniali. In realtà, per i magistrati, Raffaele Vrenna aveva mantenuto la disponibilità e la proprietà “occulta” del suo impero affidandone la gestione all’ex procuratore Tricoli.
da Ilfattoquotidiano.it