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Il virus fomenta le dittature: dopo il golpe di Orban, amico di Salvini, avanti il prossimo? Mentre la Nuova Zelanda..
E l’Europa? Il vecchio continente, la culla della democrazia? Ebbene nel cuore dell’Europa centrale da ieri si è insediata una dittatura a tutti gli effetti. Vicktor Orban si è preso definitivamente l’Ungheria con un autogolpe che riporta indietro il paese ai terribili anni del dominio sovietico.
Il presidente ungherese ha usato il pretesto della pandemia per assicurarsi poteri eccezionali: ha chiuso le camere, ha bloccato le elezioni a tempo indeterminato. Potrà governare a botta di decreti, sospendere o cambiare leggi in vigore: in pratica, pieni poteri senza limiti di tempo. Sarà lui a decidere quando tornare alla democrazia. Se mai lo deciderà.
Persino il conservatore Jobbik, presidente del partito nazionalista, ammette: “Siamo di fronte a un colpo di Stato”.
Reazioni? Bruxelles “valuta” prendendo tempo. In Italia Salvini, che sotto sotto rosica (quanto avrebbe voluto essere al potere con pieni poteri proprio adesso), twitta garrulo: “Saluto con rispetto la libera scelta del parlamento ungherese, eletto democraticamente dai cittadini. Buon lavoro all’amico Victor Orban e buona fortuna a tutto il popolo di Ungheria in questi momenti difficili per tutti”.
La storia insegna che le dittature nascono spesso dalle democrazie, soprattutto da quelle instabili, prostrate da profonde crisi economiche e da uno stato sociale esplosivo.
Nel 1922 Mussolini andò al governo democraticamente. Poi si divorò la fragile democrazia liberale e instaurò la dittatura che ben ricordiamo. Hitler, fu eletto cancelliere democraticamente, e sappiamo com’è andata. Altre epoche? No, lo stesso discorso vale per Erdogan e Putin, eletti democraticamente.
La crisi economica mondiale che si profila è il brodo di coltura perfetto per colpi di mano autoritari. Non c’è bisogno di ricorrere ai putsch: avvengono con il consenso di masse disperate, affamate, confuse e facilmente manipolabili, credule verso gli “uomini forti” che promettono ordine, lavoro e disciplina? Promesse e demagogia utili a rafforzare quindi il potere di chi governa. Promesse poi parzialmente mantenute, spesso in modo tardivo e comunque a salvaguardia di ristretti interessi economici e finanziari.
Uno scenario medievale e globale al quale parrebbe non esserci alternativa a meno di non dover fare il giro del mondo per scovare una.
In Nuova Zelanda, stato insulare lontano da tutto e tutti con meno di cinque milioni di abitanti, i contagiati di Covid-19 sono meno di trecento e nessun morto.
Eppure il primo ministro Jacinda Ardern non ha invocato poteri speciali, non ha fatto finta di niente, non ha minimizzato, non ha garantito i suoi connazionali di essere al sicuro, non ha accusato virus e agenti stranieri, non ha detto scemenze sull’immunità di gregge. Jacinta Ardern ha semplicemente deciso di fare il suo mestiere: governare anche a costo di perdere potere e consenso. Ha democraticamente convocato il Parlamento e da mercoledì notte ha messo tutto il paese in quarantena, lockdown totale, per quattro settimane, lasciando in piedi soltanto i servizi essenziali, la cui lista è più ristretta di quella in vigore da noi, tanto che, per esempio, è vietata la consegna a domicilio del cibo. Scelta civile, “normale”, sicuramente non opportunistica tantomeno populista.
«Ogni ora che aspettiamo è una persona che si ammala in più, altre due, altre tre. Non possiamo aspettare – ha detto il primo ministro neozelandese – Staremo a casa, ma questo non significa che non abbiamo un lavoro da fare: il lavoro è quello di salvare vite, e lo si può fare stando a casa rompendo la catena dei contagi».
L’uovo di Colombo, apparentemente. Dall’altra parte del mondo, al momento.