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Il Chelsea di Tuchel vince la Champions e ridimensiona il presuntuoso Guardiola
Nel frattempo con una squadra che annovera Mbappé e Neymar ha conquistato la Coppa di Francia e la Supercoppa, ovvero il nulla. Sarà per questo che Florentino Perez lo vuole al Real Madrid e il Tottenham, che Pochettino aveva lasciato in zona retrocessione a Mourinho, sta pensando di richiamarlo.
Tuchel che ieri sera ha messo le mani sulla sua prima Champions League era arrivato a Londra con il Chelsea settimo, dove l’aveva fatto scivolare un altro presunto allenatore, Lampard, il Pirlo d’Oltremanica. Sbarazzatosi per tempo dell’ex calciatore, Abramovic si è ritrovato in finale di FA Cup, persa dal Leicester, al terzo posto in campionato e, per la seconda volta, con il secondo trofeo più importante d’Europa in bacheca.
In tutto questo Guardiola manca l’eventualità della sua terza Champions (impresa riuscita, in tempi moderni, ad Ancelotti e a Zidane), nonostante guidasse una delle squadre più ricche e forti del mondo (l’altra è il Psg). Dopo Barcellona (dieci anni fa l’ultimo trionfo) è andato ovunque per rinverdire i fastosi catalani, ma in Europa non è più approdato a nulla. Facile vincere quando si allenano Messi, Xavi e Iniesta, più difficile quando il tiki taka - l’invenzione di un calcio ipnotico e monocorde - va trasferita altrove. Tuchel non è il nuovo re, ma è tedesco come gli ultimi tre ad avere vinto la Champions (gli altri o due sono Klopp e Flick) a dimostrazione che negli ultimi anni hanno fatto i progressi più consistenti e che la loro scuola, al momento, ha soppiantato quella latina.
Il Chelsea ha vinto meritatamente, nonostante fosse meno forte del City, non fosse per nulla favorito e, pur avendo un attaccante (Werner), che ti fa giocare praticamente con uno in meno (Werner stesso).
Va sottolineato che, al contrario di quanto accade quasi ovunque, il Chelsea gioca un 3-4-2-1 o 3-4-3 destinato ad infoltire la linea difensiva (sempre a cinque), ha un centrocampista eccezionale come Kanté perché bravissimo nel recupero palla e agile nella ripartenza. La manovra è spigliata e la cifra tecnica alta, ieri perfino più alta di quella del City. Il gol, situato al 42’ del primo tempo, un attacco verticale alla porta di Havertz su allungo di Mount e provvidenziale (anche se non si sa quanto voluto) movimento a sinistra di Werner. Seguendo il suo taglio, la difesa del City ha lasciato Havertz all’uno contro uno con Zinchenko (che non sa marcare). Sull’uscita del portiere, il rimpallo ha favorito il tedesco che ha insaccato a porta vuota.
Guardiola ha perso De Bruyne al 57’ (cozzo tremendo con Rudiger, ammonito), ma Tuchel aveva dovuto rinunciare, per un guaio muscolare, a Thiago Silva al 37’ (sostituito ottimamente da Christensen), tanto che non mi sento di dire che i due infortuni abbiano inciso sulla partita. In realtà fuori De Bruyne, Guardiola ha finalmente inserito un attaccante vero (Gabriel Jesus) e più tardi (76’) Aguero per Sterling.
Occasioni per il City forse mezza, all’inizio di partita, su rinvio di Ederson e anticipo di James su Sterling. Per il resto un discreto possesso palla, pochi cambi di gioco, una predisposizione per attaccare a sinistra, nessuna combinazione veloce e profonda.
E, soprattutto, nessuna reazione. Passi appena dopo lo svantaggio (si era a pochi minuti dall’intervallo), ma anche ad inizio di ripresa e oltre non si è registrato nulla. Anzi, in una partita avara di gioco e di giocate, dunque tutt’altro che bella, è stato ancora il Chelsea ad avere la palla del raddoppio (72’) con un’azione splendida: recupero palla di Kantè, servizio per Havertz che si fa quasi metacampo e poi scarica su Pulisic (dal 65’ al posto di Werner) che, in diagonale, supera il portiere, ma mette fuori.
Il City ha premuto negli ultimi venti minuti, ma a parte un salvataggio di Azpilicueta e un paio di mischie ha prodotto solo qualche intenzione bellicosa. L’unico vero pericolo, il Chelsea l’ha corso al terzo dei sette minuti di recupero con un tiro a giro di Mahrez fuori di un palmo rispetto all’incrocio. Tuchel batte per la terza volta Guardiola in stagione. Lui sale, l’altro scende.
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