Il calcio femminile ha bisogno di una Lega e deve uscire dai Dilettanti
Dal 2000 al 2008 ho fatto l’allenatore di calcio femminile. L’abilitazione (Uefa B) l’ho conseguita nell’autunno del 1998. Con me, tra i banchi del corso, c’era anche Roberto Donadoni, poi c.t. della Nazionale e ora allenatore del Bologna
La prima partita femminile che vidi dal vivo fu Italia-Francia (3-0), nei primi anni ottanta, a Vicenza, in uno stadio Menti gremito di pubblico. In campo c’erano Carolina Morace e Betty Vignotto, il terreno era zuppo per un grande acquazzone di maggio, ma le ragazze avevano un controllo formidabile. Tecnicamente nulla da invidiare agli uomini.
Quel giorno capii che il calcio femminile avrebbe avuto un grande futuro se solo avesse mantenuto quel livello e se le partite avessero trovato una degna collocazione. Non disastrati campi di provincia e di periferia (come ho visto più avanti), ma impianti facilmente raggiungibili ed efficienti, che incoraggiassero la partecipazione.
Per quanto paradossale possa sembrare, la crescita del movimento si interruppe proprio quando il calcio femminile transitò da una federazione autonoma alla Federcalcio (1986). A strozzarlo non furono solo i legacci della burocrazia sportiva, ma anche la crisi delle vocazioni.
In pratica, all’inizio degli anni ottanta, il calcio delle donne perse l’occasione per affermarsi durante i suoi anni migliori, cioé quando la base forniva molta materia prima e c’erano, oltre che grandi giocatrici, anche le risorse per un’organizzazione strutturata e capiente.
Adesso, dopo quindici anni di alti e bassi che comunque hanno saputo esprimere calciatrici come Patrizia Panico (la più grande dopo la Morace) e Melania Gabbiadini, si torna a parlare di possibile sviluppo in grande stile del calcio femminile. Nel ranking mondiale la Nazionale italiana è diciassettesima (sabato, a Marsiglia, affronterà la Francia, sesta), ma quasi tutti i club stanno cambiando pelle.
La prima è stata la Fiorentina che, due anni fa, ha assorbito il Firenze, allestendo il settore femminile. L’operazione ha dato subito i frutti sperati con lo scudetto delle viola nella stagione 2016-2017. Quest’anno si è mossa la Juve. Prima ha acquistato il titolo sportivo dal Cuneo, poi ha fatto incetta di quasi tutte le migliori, affidando la squadra a Rita Guarino, ex selezionatrice delle nazionali giovanili in Figc. La marcia delle bianconere è implacabile: primo posto in classifica con dieci vittorie su altrettante partite, 33 gol fatti, due soli subiti.
L’obiettivo, naturalmente, è lo scudetto anche se il Brescia (che, in estate, fu saccheggiato dalla Juve a livello di organico) è a soli tre punti di distanza in classifica. Le Rondinelle hanno una peculiarità del tutto particolare, forse destinata a rimanere unica anche nel futuro: da oltre dieci anni sono in serie A, hanno vinto scudetti e partecipato alla Champions League, eppure il loro presidente Cesari non ha mai pensato di cedere il club ad una società maschile di spiccata fama (potrebbe essere l’Inter o il Milan, oltre allo stesso Brescia).
Con questo intendo dire che il calcio femminile può raggiungere una maggiore dimensione sia al di fuori della Juve (che tratta, a tutti i livelli, le sue calciatrici come professioniste), sia degli altri club di A e di B maschile che hanno una sezione donne: oltre alla già citata Fiorentina, l’Empoli, il Chievo-Valpolicella, l’Atalanta-Mozzanica.
Il nodo riguarda le straniere. Da quando l’impiego è illimitato è proporzionalmente calato il rendimento della Nazionale che, rispetto al quinquennio 2010/2015, ha perso cinque posizioni nel ranking e ha fatto male all’ultimo Europeo (eliminazione nella fase a gironi con tre sconfitte).
E’ cambiato il c.t. Da Antonio Cabrini (che aveva sostituito Pietro Ghedin) a Milena Bertolini, ex tecnico del Brescia, fortemente voluta dall’allora vice-presidente della Federcalcio, Renzo Ulivieri. Finora le qualificazioni al prossimo mondiale stanno andando bene (tutte vittorie) anche se passa solo la prima (le migliori seconde ai play off) e il Belgio, principale antagonista, deve essere ancora affrontato.
Perciò dire che il calcio femminile è risorto è proporre una forzatura o imporre una manipolazione. Sta solo cambiando. A patto, però, che si allarghi la base delle praticanti (siamo agli ultimi posti nel mondo) e che nasca una Lega delle società di calcio. Solo essa può dare una prospettiva in termini di interesse commerciale e, dunque, di fatturato.
Il calcio femminile dentro la Lega nazionale dilettanti è, ormai, una contraddizione della storia.