Il Barça campione d'Europa è la squadra più forte del mondo: caro Mourinho, impara da Guardiola
Il trionfo di Wembley, televisto ai quattro angoli del globo, è carico di profondi significati, tecnici e morali. Premia la bravura di Guardiola, al decimo titolo in tre stagioni sulla panchina blaugrana, capace come Johan Cruyff di vincere la Coppa dei Campioni a Wembley prima come giocatore e poi come allenatore. Ne esalta la statura morale di allenatore gentiluomo che concede al leggendario Puyol la passerella finale. Che schiera Abidal titolare e lo promuove capitano dopo la finale perchè, in quanto tale, Platini consegni proprio a lui la Coppa dei Campioni. Lui che ha vinto la battaglia contro il cancro al fegato ed è diventato un formidabile testimonial della lotta contro i tumori. Guardiola che bacia Ferguson e s'inchina davanti a Bobby Charlton. Guardiola che celebra il terzo tempo con i suoi giocatori, schierati gli uni di fronte agli altri ad applaudire i rivali. Guardiola che in mondovisione dimostra anche ai burocrati e agli ominicchi del calcio italiano che cosa significhi il fair play, loro che hanno affossato l'iniziativa promossa tre anni fa da Cesare Prandelli e dalla sua Fiorentina, riducendola ad un farsesco minuetto.
C'è dell'altro, questa notte a Wembley. Ci sono i dodici giocatori del Barcellona cresciuti nella cantera, il vivaio catalano e diventati campioni d'Europa con il loro tecnico. C'è la nuova, pesantissima lezione di calcio e di vita che il Barcellona ha impartito al signor Josè Mourinho, vincitore della Coppa del Re, ma pluribastonato in semifinale oltre che nella Liga, eppur capace di sputare veleno su Guardiola e sulla sua squadra, dimostrando di non essere capace né di perdere né di vincere. Come fece un anno fa, a Madrid, la sera del trionfo interista, quando scappò dal Bernabeu sull'auto del presidente del Real e non tornò nemmeno a San Siro per celebrare una vittoria sognata per 45 anni dai tifosi nerazzurri. Mourinho che, negli sproloqui dopo la batosta con Guardiola mise in dubbio la regolarità della Coppa dei Campioni catalana 2009, tirò inverecondamente in ballo l'Unicef, accampò l'alibi degli arbitri per nascondere la vergogna di un Real catenacciaro come mai si era visto nella storia madridista, al punto da inorridire anche Alfredo Di Stefano, leggenda della Casa Blanca. Essere un grande allenatore non basta, Josè. Quest'estate, guarda e riguarda la finale di Wembley, copia Guardiola e facci vedere il tuo Real giocare come il Barça. Coraggio, non si finisce mai di imparare.