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Ibra: 'Sono stato il migliore di sempre, più forte del 95% degli attaccanti di oggi. Di Raiola manca tutto, cambiava la vita dei suoi giocatori'
Le prime “piccanti” anticipazioni sul suo complicato rapporto con Pep Guardiola e alcune battute sparse sul suo rapporto col mondo del calcio, lasciato da poco, ed i suoi protagonisti avevano già lasciato intendere la portata dell’intervista concessa da Zlatan Ibrahimovic a Piers Morgan. Un’intervista che nella serata di ieri è stata diffusa in maniera integrale e che ha dato a tutti quanti l’opportunità di conoscere l’Ibra-pensiero su tantissime questioni. A partire dall’esplosione del fenomeno Arabia Saudita e della migrazione in massa di tantissimi campioni provenienti dall’Europa. “E’ logico voler guadagnare il più possibile, ad un certo punto può diventare anche quella una sfida. E’ questo che ti rende davvero felice? Sarai morto prima di aver pensato a tutto questo. Anch’io ho ricevuto un’offerta dall’Arabia, così come dalla Cina in passato. 100 milioni di euro. Ma volevo terminare la mia carriera sul palcoscenico più importante a livello internazionale. E’ giusto porsi problemi morali? Assolutamente no, il calcio è calcio in Europa come in Medio Oriente. Chi siamo noi per giudicare chi pensa al proprio avvenire e a quello della sua famiglia”, ha dichiarato l’ex campione svedese.
Che sembra voler lanciare una frecciatina invece a Cristiano Ronaldo, il fuoriclasse che ha deciso di fare da apripista all’avvento di tanti calciatori di alto livello in Arabia Saudita, dopo aver dato l’addio al Manchester United nel dicembre 2021. “Io credo che sia più importante essere ricordato per il tuo talento piuttosto che per il denaro che hai guadagnato. Il trattamento che ha subito dal Manchester United? Per me dipende sempre da te cercare di ottenere il rispetto da chi ti circonda”. E a proposito di grandi campioni Zlatan Ibrahimovic come si colloca in una lista ideale? “Penso di essere stato il giocatore più completo mai visto di sempre. Non ho vinto il Pallone d’oro, non ho vinto la Champions League e, se bisogna tenere conto di queste cose, io non merito di stare nella lista dei più grandi di sempre. Ho avuto l’onore e la fortuna di conquistare 34 titoli di squadra e qualcuno a livello individuale, le due cose sono collegate. Ma se devo parlare di qualità pure, io sono il migliore”.
Ibra è tornato a parlare in questi termini della decisione di ritirarsi al termine dell’ultima stagione: “Mi sono ritirato tre mesi fa, non è una questione di volerlo o no, l’ho accettato. Non mi sentivo più bene. Avrei potuto continuare e avrei potuto soffrire ancora dal punto di vista fisico, ma io volevo sentirmi bene e non volevo avere conseguenze. Non volevo zoppicare dopo la mia carriera, o non fare cose con i miei ragazzi. Quindi ho scelto di fermarmi e credo di averlo fatto nel momento giusto. Ad essere sincero, quando vedo tutti gli attaccanti lì fuori penso che potrei giocare ancora e che potrei fare molto più di loro e meglio di loro. Non è una questione di ego. Potrei farti molti nomi, non penso di essere migliore del 95% di loro, sono migliore del 95% di loro. Non mi manca il pubblico, non ne ho bisogno. Ho giocato per venti o venticinque anni davanti a novantamila persone e ho fatto di tutto. Mi sono fatto fischiare, mi sono fatto amare ed oggi non ho bisogno di quel tipo di attenzione. Sono quello che sono e sono ricordato per ciò che ho fatto in campo. Non cerco di essere riconosciuto o cose del genere, altrimenti farei il commentatore o cose che fanno altri ex giocatori. Loro lo fanno perché gli manca attenzione e perché vogliono essere ancora davanti ad una telecamera. Li capisco, perché in campo ti senti vivo, senti l’adrenalina, senti l’erba, i duelli, il calore, l’atmosfera. Poi dipende da come sei, io ero un giocatore emozionale, ma ora le cose sono cambiate e faccio una vita normale”.
Sull’importanza di aver avuto Mino Raiola al suo fianco: “E’ stata una grande perdita. Mi manca ancora oggi e mi mancherà per sempre perché per me non era solo un agente, era tutto. La mia carriera è partita quando mi sono trasferito all’Ajax, ma in realtà il vero inizio c’è stato quando l’ho conosciuto. Abbiamo fatto tutto insieme, in ambito calcistico e non, ho condiviso con lui i momenti brutti e i momenti cattivi. Era coinvolto in tutto e da quel tragico momento tutto è stato diverso per me. Mi ha visto crescere e diventare ciò che sono. Ci sfidavamo sempre, era odio e amore, ma amore vero. E’ stata una cosa dura per me. Ora faccio tutto da solo e spesso vorrei chiamarlo per chiedergli ‘cosa ne pensi?’. Non era un agente che lavorava per il club, lui lavorava per cambiare la vita dei suoi giocatori”.
Sul suo idolo di gioventù: “Il giocatore più forte di sempre? Ronaldo il Fenomeno. Ha cambiato il calcio. Guardavo le sue giocate su YouTube e cercavo di replicarle. Oggi tanti segnano un sacco di goal, ma non possono cambiare il calcio come ha fatto lui. Chi è più forte tra Haaland e Mbappé? Sono entrambi fantastici. Haaland gioca in un modo molto intelligente, non tocca mai la palla più del necessario. Ha il killer instinct, se segna tre goal poi ne vuole fare un quarto e poi il quinto. Si trova nell’ambiente perfetto. Da lui ti aspetti i goal e se non segna dirai che ha avuto una brutta giornata. Mbappé è invece più completo, può fare più cose di Haaland. Può fare cose inaspettate, mi ricorda Ronaldo il Fenomeno. Fa cose che gli altri non possono fare e può migliorare ancora tanto, deve solo concentrarsi sul calcio”.
Lo scontro con Guardiola: "Io credo che Guardiola sia un allenatore fantastico. Negli ultimi dieci o quindici anni è sempre arrivato primo o secondo, mai terzo. Però dovevo avere a che fare anche con la persona. Io gli dissi: se non vado bene per te, dimmelo. Tolgo il disturbo. Ricordo che al primo incontro mi disse: qui i giocatori non vengono in Ferrari o in Porsche. E io: perché? Alla fine andai da lui, un dialogo amichevole: ho bisogno di più spazio, il modo in cui vuoi che giochi non fa per me, quindi meglio che punti su altri giocatori. La partita successiva vado in panchina, la seconda e la terza idem. Ma il problema, secondo me, non era il mio rendimento: si era offeso perché gli avevo detto che mi serviva più spazio secondo le mie caratteristiche. Alla quarta partita in panchina mi sono ribellato: ho preso la mia Ferrari e ho parcheggiato proprio davanti al suo ufficio. Vuoi giocare col fuoco? Ti bruci. Da quel momento ha iniziato a evitarmi: io entravo nella sala colazione e lui usciva”. Parole decisamente diverse per José Mourinho: “Ho conosciuto Mourinho quando ha vinto la Champions League con il Porto. E’ venuto in Inghilterra e faceva un sacco di rumore, ma ha fatto anche tutto quello che aveva detto che avrebbe fatto. Non si tratta di arroganza, ma di fiducia. Lui ci crede davvero ed è schietto. Io sono così, se credo in certe cose lo dico e farò di tutto per riuscire a raggiungere i miei obiettivi. L’ho incontrato per la prima volta all’Inter ed è stato tutto diverso. Io venivo da Capello, uno della vecchia scuola ma molto duro. Mi distruggeva ogni giorno, mi buttava giù e mi tirava su ed è così che ha creato la mia mentalità in campo. Non mi ha mai fatto sentire soddisfatto. Mi ha detto di cosa aveva bisogno, io ero giovane, mi nascondevo tra grandi giocatori come Cannavaro e Vieira e lui urlava il mio nome. E’ così che è nato il soprannome Ibra, era divertente ma anche dura per me, era ogni giorno così ed era la mentalità della vecchia scuola. Poi ho incontrato Mourinho che aveva una mentalità molto dura ma che era una cosa nuova. In ogni allenamento facevamo una cosa nuova, non ripetevamo mai lo stesso esercizio due volte. Di guardava e diceva a tutti ‘Avrete una chance, una seconda no’. Era diretto ma ti fa sentire forte e ti fa lottare per lui. E’ come un maestro, fa tutto ciò che serve per vincere. Ti motiva ed è un vincitore. Dice quello che pensa, ma prima si informa. Saprebbe più cose di me di quante io stesso ne potrei sapere. E’ forte”.
Che sembra voler lanciare una frecciatina invece a Cristiano Ronaldo, il fuoriclasse che ha deciso di fare da apripista all’avvento di tanti calciatori di alto livello in Arabia Saudita, dopo aver dato l’addio al Manchester United nel dicembre 2021. “Io credo che sia più importante essere ricordato per il tuo talento piuttosto che per il denaro che hai guadagnato. Il trattamento che ha subito dal Manchester United? Per me dipende sempre da te cercare di ottenere il rispetto da chi ti circonda”. E a proposito di grandi campioni Zlatan Ibrahimovic come si colloca in una lista ideale? “Penso di essere stato il giocatore più completo mai visto di sempre. Non ho vinto il Pallone d’oro, non ho vinto la Champions League e, se bisogna tenere conto di queste cose, io non merito di stare nella lista dei più grandi di sempre. Ho avuto l’onore e la fortuna di conquistare 34 titoli di squadra e qualcuno a livello individuale, le due cose sono collegate. Ma se devo parlare di qualità pure, io sono il migliore”.
Ibra è tornato a parlare in questi termini della decisione di ritirarsi al termine dell’ultima stagione: “Mi sono ritirato tre mesi fa, non è una questione di volerlo o no, l’ho accettato. Non mi sentivo più bene. Avrei potuto continuare e avrei potuto soffrire ancora dal punto di vista fisico, ma io volevo sentirmi bene e non volevo avere conseguenze. Non volevo zoppicare dopo la mia carriera, o non fare cose con i miei ragazzi. Quindi ho scelto di fermarmi e credo di averlo fatto nel momento giusto. Ad essere sincero, quando vedo tutti gli attaccanti lì fuori penso che potrei giocare ancora e che potrei fare molto più di loro e meglio di loro. Non è una questione di ego. Potrei farti molti nomi, non penso di essere migliore del 95% di loro, sono migliore del 95% di loro. Non mi manca il pubblico, non ne ho bisogno. Ho giocato per venti o venticinque anni davanti a novantamila persone e ho fatto di tutto. Mi sono fatto fischiare, mi sono fatto amare ed oggi non ho bisogno di quel tipo di attenzione. Sono quello che sono e sono ricordato per ciò che ho fatto in campo. Non cerco di essere riconosciuto o cose del genere, altrimenti farei il commentatore o cose che fanno altri ex giocatori. Loro lo fanno perché gli manca attenzione e perché vogliono essere ancora davanti ad una telecamera. Li capisco, perché in campo ti senti vivo, senti l’adrenalina, senti l’erba, i duelli, il calore, l’atmosfera. Poi dipende da come sei, io ero un giocatore emozionale, ma ora le cose sono cambiate e faccio una vita normale”.
Sull’importanza di aver avuto Mino Raiola al suo fianco: “E’ stata una grande perdita. Mi manca ancora oggi e mi mancherà per sempre perché per me non era solo un agente, era tutto. La mia carriera è partita quando mi sono trasferito all’Ajax, ma in realtà il vero inizio c’è stato quando l’ho conosciuto. Abbiamo fatto tutto insieme, in ambito calcistico e non, ho condiviso con lui i momenti brutti e i momenti cattivi. Era coinvolto in tutto e da quel tragico momento tutto è stato diverso per me. Mi ha visto crescere e diventare ciò che sono. Ci sfidavamo sempre, era odio e amore, ma amore vero. E’ stata una cosa dura per me. Ora faccio tutto da solo e spesso vorrei chiamarlo per chiedergli ‘cosa ne pensi?’. Non era un agente che lavorava per il club, lui lavorava per cambiare la vita dei suoi giocatori”.
Sul suo idolo di gioventù: “Il giocatore più forte di sempre? Ronaldo il Fenomeno. Ha cambiato il calcio. Guardavo le sue giocate su YouTube e cercavo di replicarle. Oggi tanti segnano un sacco di goal, ma non possono cambiare il calcio come ha fatto lui. Chi è più forte tra Haaland e Mbappé? Sono entrambi fantastici. Haaland gioca in un modo molto intelligente, non tocca mai la palla più del necessario. Ha il killer instinct, se segna tre goal poi ne vuole fare un quarto e poi il quinto. Si trova nell’ambiente perfetto. Da lui ti aspetti i goal e se non segna dirai che ha avuto una brutta giornata. Mbappé è invece più completo, può fare più cose di Haaland. Può fare cose inaspettate, mi ricorda Ronaldo il Fenomeno. Fa cose che gli altri non possono fare e può migliorare ancora tanto, deve solo concentrarsi sul calcio”.
Lo scontro con Guardiola: "Io credo che Guardiola sia un allenatore fantastico. Negli ultimi dieci o quindici anni è sempre arrivato primo o secondo, mai terzo. Però dovevo avere a che fare anche con la persona. Io gli dissi: se non vado bene per te, dimmelo. Tolgo il disturbo. Ricordo che al primo incontro mi disse: qui i giocatori non vengono in Ferrari o in Porsche. E io: perché? Alla fine andai da lui, un dialogo amichevole: ho bisogno di più spazio, il modo in cui vuoi che giochi non fa per me, quindi meglio che punti su altri giocatori. La partita successiva vado in panchina, la seconda e la terza idem. Ma il problema, secondo me, non era il mio rendimento: si era offeso perché gli avevo detto che mi serviva più spazio secondo le mie caratteristiche. Alla quarta partita in panchina mi sono ribellato: ho preso la mia Ferrari e ho parcheggiato proprio davanti al suo ufficio. Vuoi giocare col fuoco? Ti bruci. Da quel momento ha iniziato a evitarmi: io entravo nella sala colazione e lui usciva”. Parole decisamente diverse per José Mourinho: “Ho conosciuto Mourinho quando ha vinto la Champions League con il Porto. E’ venuto in Inghilterra e faceva un sacco di rumore, ma ha fatto anche tutto quello che aveva detto che avrebbe fatto. Non si tratta di arroganza, ma di fiducia. Lui ci crede davvero ed è schietto. Io sono così, se credo in certe cose lo dico e farò di tutto per riuscire a raggiungere i miei obiettivi. L’ho incontrato per la prima volta all’Inter ed è stato tutto diverso. Io venivo da Capello, uno della vecchia scuola ma molto duro. Mi distruggeva ogni giorno, mi buttava giù e mi tirava su ed è così che ha creato la mia mentalità in campo. Non mi ha mai fatto sentire soddisfatto. Mi ha detto di cosa aveva bisogno, io ero giovane, mi nascondevo tra grandi giocatori come Cannavaro e Vieira e lui urlava il mio nome. E’ così che è nato il soprannome Ibra, era divertente ma anche dura per me, era ogni giorno così ed era la mentalità della vecchia scuola. Poi ho incontrato Mourinho che aveva una mentalità molto dura ma che era una cosa nuova. In ogni allenamento facevamo una cosa nuova, non ripetevamo mai lo stesso esercizio due volte. Di guardava e diceva a tutti ‘Avrete una chance, una seconda no’. Era diretto ma ti fa sentire forte e ti fa lottare per lui. E’ come un maestro, fa tutto ciò che serve per vincere. Ti motiva ed è un vincitore. Dice quello che pensa, ma prima si informa. Saprebbe più cose di me di quante io stesso ne potrei sapere. E’ forte”.