Ibra: 'Ho salutato Messi, non Guardiola. E' importante?'
Zlatan: "Ho salutato Messi, lui no. È importante?". E Pep glissa: "Questa telenovela non finirà mai".
Ibrahimovic, vendetta a metà: "Ma non è un gol contro Guardiola".
Ibra e Guardiola non si incontrano ed è impossibile che succeda perché vivono in due pianeti diversi. Si ignorano, anzi di più sottolineano la volontà di non considerarsi con sguardi nel vuoto, bronci portati con ostentazione. C'è un solo momento in cui stanno uno di fronte all'altro ma è già tutto finito, mancano pochi minuti: Ibra si avvia lentamente a bordo campo per una rimessa laterale, Guardiola è proprio lì, a meno di un metro. E il gelo si sente a chilometri di distanza. «Ci saluteremo se ci incontreremo» aveva detto il tecnico del Barcellona e ovviamente non succede, non c'è bisogno di gesti distensivi in favore di telecamera visto che non si tratta di una zuffa mediatica ma di una faida profondamente privata. Anche la partita ne fa parte ed è inevitabile. Si tratta di Milan-Barcellona, della lotta per il prestigio, per la testa del girone di Champions, ma è per forza un Ibra contro tutti. L'unico che si è ribellato al gioco di gruppo, che ha schifato la squadra del tutti per uno, il solo che detesta il filosofo Pep. E lo ha pure scritto in un libro.
Poteva intitolarlo «Volevo essere trattato come Messi» e ha una gran voglia di dimostrare che ne avrebbe avuto diritto. Entra duro su Keita, poi sgrida Robinho, risgrida Robinho e si mantiene impassibile sul vantaggio blaugrana. Teso e presente come è raro vederlo. Infatti segna: «Adesso non si dica che questo è un gol contro Guardiola, è per i compagni. Non ho niente da dire su Guardiola. Quello che è scritto nella mia biografia è quello che è successo. Il Barcellona è una grande squadra, noi stiamo lavorando per diventare come loro. Possiamo arrivare in fondo, soprattutto se abbiamo qualche arbitro a favore. E anche in campionato, abbiamo la stessa rabbia della Juve».
Di solito ronza prima di entrare in partita, stavolta è concentrato, elettrizzato da una tensione inedita che a un certo punto quasi lo paralizza. Messi mette dentro il primo gol a un'italiana e Ibra si tiene lo stomaco, sputa, sembra che provi a vomitare. Per un po' si perde dietro al suo improvviso malessere. Il tormento deve essere contagioso perché nell'altro universo anche Guardiola è strano. Pep beve nervoso, si agita, richiama i suoi che di media sorveglia in compiaciuto silenzio e quando il Milan agguanta il 2-2 picchia la tettoia della panchina imbufalito. Non importa che quel risultato vada ancora bene per gli spagnoli, che per la classifica cambi zero e che per la sua squadra questo sia un periodo di fuoco.
La sfida contro il Real Madrid di Mourinho in agguato e il Mondiale per club dietro l'angolo, tanti fronti e un solo obiettivo, il meno pesante: questa gara contro il Milan. È chiaro che ci siano motivazioni extra solo che Ibra non riesce più a corrergli dietro, l'attaccante onnipresente del primo tempo si spegne in progressione mentre Guardiola si rianima con il gol di Xavi e festeggia con un saltellino raggiante del tipo «vorrei contenermi ma non posso». Lo sguardo resta teso, il fisico inizia a rilassarsi e la sagoma di Ibra si perde sullo sfondo: «Basta - dice alla fine Pep - non c'è niente da dire su questa storia. Tanto la telenovela non finirà mai». Lo svedese non ci crede più. Un passaggio che Pato non sfrutta, una corsa disperata e la gamba tesa in mezzo all'area, buttata in uno dei tentativi da colpo acrobatico che tira fuori quando non c'è molto altro da fare. Stringe molte mani e una maglia del Barça: «Ho salutato Messi, Guardiola no. Perché, è importante?». Il nemico è già uscito. E di tutta la faida resta solo un broncio.