Ibra, l'uomo che si crede supereroe stringe i pugni e sfrutta l'assist del destino
Furio Zara
Il gesto di questa settimana chiama in causa la mano. Ma non è la mano che pensate. E’ una mano - anzi, sono due mani. Sono le mani di Ibra dopo che ha sbagliato il rigore, dopo che se l’è fatto parare da Silvestri, dopo che una mira sballata l’ha inchiodato. Riguardate quell’attimo. Ibra calcia, Silvestri para. Poi succede qualcosa di mai visto. Ibra si ferma, come se lo sviluppo dell’azione non lo riguardasse più. Sono tutti in movimento. Quelli dell’Udinese rincorrono il pallone, quelli del Milan sono colti alla sprovvista. Non si aspettavano l’errore del compagno. E men che meno se lo aspettava lui. Il fermo immagine non racconta solo un episodio, ma riassume tutto un destino. Ibra è in mezzo all’area. Ha lo sguardo basso, i piedi paralleli. E’ immobile. Non si dispera. E’ concentrato su qualcosa che ai più sfugge. Sembra persino riflettere, sembra rivivere il trailer del rigore: i tre passi di rincorsa, il tiro, la parata. Un breve film che va in onda solo sulla sua testa. E’ in questo momento che Ibra fa qualcosa di speciale. Stringe i pugni. A questo momento potrebbero succedere due cose. Se fosse un supereroe Ibra esploderebbe in HD, con un botto di quelli che vediamo al cinema. E magari si trasformerebbe, i supereroi di solito fanno così. Ma Ibra non è un supereroe, non ancora o non più. Se fosse un uomo, forse invece gli si aprirebbe una botola sotto i piedi e lui scomparirebbe, inghiottito dal campo. Ma Ibra non è solo un uomo. E’ un uomo che si crede un supereroe. Ne è convinto. Per questo motivo stringe i pugni. Resta così almeno tre-quattro secondi, un tempo interminabile. A fissare le sue mani strette a pugno, ad aspettare che succeda qualcosa. Poi l’incantesimo si rompe. Ibra scioglie i pugni e batte le mani. E’ in questo momento che il supereroe torna uomo. E’ qui che Ibra vince la sua partita ancora prima di vincerla. Su, andiamo, dice quel battito di mani. Sveglia, è ora di ricominciare a giocare. Ibra lo dice a sé stesso. E’ una campanella che gli suona in testa e lo riporta nel mondo. Le mani di Ibra - prima a pugno, poi sciolte per un nuovo inizio - ci ricordano il senso più intimo dello sport. Si sbaglia, ci si riprova. E siccome Ibra è Ibra, il destino lo soccorre e gli dà - ops - una mano. Perché l’arbitro ha ravvisato una irregolarità, c’era troppo traffico in area di rigore al momento del tiro. Così fa ripetere il rigore. E stavolta Ibra segna. Ogni tanto la vita ci dà una seconda possibilità. Il trucco è - dopo l’incazzatura e i pugni stretti per trattenere la rabbia - farsi forza, su. Chissà se in un week end segnato da altre mani, riusciamo a dedicare un minuto alle mani di Ibra. Forse vogliono dirci qualcosa.