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Ian Wright: i quindici giorni più terribili, il dramma di Rocastle e gli insegnamenti di Mister Pigden
Ne è perfettamente consapevole.
A 19 anni, dopo quasi la metà passata a ricevere rifiuti da tutte (e non sono poche) le squadre professionistiche di Londra e dintorni queste sei settimane in prova al Brighton sono davvero l’ultima chance.
Per essere lì, in quella città sulla costa, meta turistica ambita da tutto il popolo inglese, ha dato fondo agli ultimi suoi risparmi … anzi, ha dovuto chiedere anche qualche sterlina in prestito agli amici del quartiere dove è cresciuto, Brockley.
Non esattamente il posto più agiato e tranquillo dove crescere. A Brighton è l’ultimo lancio dei dadi.
Dovesse andare male anche stavolta l’unica alternativa sarà quella di cercare un lavoro “serio” con il quale dare un futuro alla sua famiglia … un futuro quantomeno migliore di quello che suo padre aveva dato a lui.
Sarà per la disperazione legata al fatto di giocarsi la sua ultima possibilità nel calcio professionistico, sarà per le sue qualità indiscusse di calciatore ma resta il fatto che il provino sta andando alla grande.
Sta giocando bene e sta facendo gol, tanti gol.
E non solo nelle partite con la squadra Juniores o con quella Riserve ma anche contro la prima squadra. Perfino Steve Foster, il possente difensore centrale e capitano delle “ Seagulls” gli ha fatto più di una volta i complimenti.
Arriverà invece un rifiuto, l’ennesimo.
Non glielo diranno neppure in faccia, ma glielo faranno dire dal suo amico e allenatore della squadra dilettantistica per la quale sta giocando in quel periodo.
Lui si chiama Tony Davis e la squadra Ten-Em-Bee.
Stavolta per IAN WRIGHT è finita davvero.
Non si può continuare a vivere di sogni e a nutrirsi di illusioni.
Ian torna a Londra.
Pare aver perso le coordinate.
Quest’ultima delusione ha lasciato il segno, più di tutte le altre. Finisce addirittura in carcere.
Ha un auto, ma non ha patente e neppure assicurazione e ci sono tante multe non pagate.
Saranno i quindici giorni più terribili della sua vita.
Quando esce capisce che “o affoga o impara a nuotare”.
Ian, per fortuna, sceglie la seconda strada.
Trova un lavoro.
Ci si mette anima e corpo anche se fa solo l’operaio in una ditta alimentare. Ma qui trova la serenità che aveva cercato, senza mai riuscirci, per più di venti anni della sua vita.
Ha uno stipendio regolare e il calcio è quello semi-professionistico della domenica mattina. E’ un buon team, il Greenwich Borough, e quelle sterline supplementari che arrivano nelle sue tasche dal Club sono tutto grasso che cola per Ian.
Anche perché intanto la famiglia si è allargata.
Ha adottato il piccolo Shaun e poi è arrivato anche Bradley.
A quasi 22 anni Ian Wright ha trovato il suo equilibrio e la sua pace interiore.
Quella che non ha mai avuto in una infanzia di rinunce, condizionata da un padre che se ne è andatoquando lui era ancora un bambino lasciando sua madre ad occuparsi di lui, di suo fratello Maurice e della sorellina Dionne.
Poi sono arrivate le botte e i soprusi da un padrino da cui non è mai stato accettato e da un’adolescenza sulla soglia della miseria. Tutto finito, tutto alle spalle finalmente.
Anche il sogno di fare il calciatore professionista è ormai definitivamente riposto in fondo ad un cassetto.
Si vede che non era destino, nonostante le doti di Ian Wright parevano così evidenti a tutti quelli che lo vedevano in azione su un campo di calcio.
Ian Wright è talmente felice che quando il Crystal Palace lo invita ad un provino di due settimane non ha un solo dubbio al mondo: il suo è un “NO”, chiaro, rotondo ed inequivocabile.
La determinazione del Palace è tanta ma lo è altrettanto la decisione di Wright nel rifiutare l’offerta. E’ contento della vita che fa e poi due settimane ? Come giustificarle in azienda ? L’idea di correre anche solo un piccolo rischio di perdere il lavoro terrorizza Ian Wright.
“Ian, vuoi davvero invecchiare rimpiangendo in eterno questa occasione ?”
Queste le parole dell’amico Tony Davis.
Wright vacilla.
Sarà lo stesso Tony ad andare a rassicurare i titolari dell’azienda dove lavora Wright e ad ottenere per lui un permesso per quelle due settimane.
Ian Wright affronta il provino con uno spirito completamente diverso dal passato.
L’approccio non è più “Non posso farmi sfuggire questa occasione” ma il molto più pragmatico “Vada come vada. Non me ne fotte un cazzo.” Sarà probabilmente il fattore decisivo.
Wright gioca senza alcuna pressione, pensando solo ed esclusivamente a quello che sa fare.
E su un campo di calcio sa fare praticamente tutto. Soprattutto fare gol.
Alla fine delle due settimane Steve Coppel, grande ex-ala di Manchester United e nazionale ed ora Manager delle “Eagles” londinesi, gli offre un contratto professionistico.
Sono solo tre mesi.
Ma per Ian Wright sono una vita.
Il sogno si è avverato.
A quasi 22 anni.
Quando ormai pensi che i giochi siano fatti e che le strade che percorrerai nella vita sono in gran parte già segnate. La prima cosa che fa è chiamare la madre Nesta.
E’ lei che lo ha cresciuto in mezzo a tante difficoltà.
Lui, Maurice e la piccola Dionne.
Parole poche, lacrime tante.
“Ce l’hai fatta figlio mio”.
“Grazie mamma. Ma adesso c’è tanto di quel tempo da recuperare … “
E’ il 12 maggio del 1990.
Il Crystal Palace, alla sua prima stagione nella massima serie inglese dopo otto lunghe stagioni nella seria cadetta, è in finale di FA CUP.
Di fronte il Manchester United di Alex Ferguson che sta finalmente tornando ai vertici del calcio inglese dopo anni di oblio. Sono passati quasi cinque anni dal giorno in cui Steve Coppel gli aveva offerto il suo primo contratto da professionista.
In questo lasso di tempo Ian Wright ha fatto quello che in tanti avevano previsto fin dai suoi esordi sui campetti di Hilly
Fields: segnato tanti gol.
Compresi i 24 gol segnati nella stagione precedente, quella della promozione.
Questo primo anno in First Division però non è andato secondo le attese di Ian.
Due brutti infortuni lo hanno tenuto lontano dai campi di gioco per diversi mesi.
L’ultimo di questi circa due mesi prima, in una partita di campionato contro il Derby County. Una frattura alla tibia che per lo staff medico del Crystal Palace significava solo una cosa: per Ian Wright di calcio giocato se ne sarebbe parlato solo la stagione successiva.
Ma una finale di FA CUP non è una partita qualsiasi.
E per le “Aquile” del sud di Londra è una giornata storica.
E’ infatti la prima volta nella storia del Club che la squadra raggiunge una finale di FA CUP.
Ian Wright ce la mette tutta per recuperare ma neppure per l’ultima partita di campionato, una settimana prima contro il Manchester City, riesce ad essere disponibile.
E così quando quel sabato di maggio Steve Coppel lo inserisce tra i componenti della panchina tutti pensano che sia poco più di un riconoscimento a quanto fatto dall’attaccante di Brockley in queste ultime cinque stagioni. Sarà una delle finali più spettacolari ed appassionanti della storia di questa gloriosa manifestazione.
Il difensore del Palace Gary O’Reilly porta in vantaggio le “Eagles” ma la reazione dei “Red Devils” è veemente. Prima capitan Bryan Robson pareggia sul finire del primo tempo e poi, dopo circa un quarto d’ora nella ripresa, Mark Hughes
porta in vantaggio i suoi. Manca meno di mezz’ora alla fine.
Steve Coppel non indugia oltre.
Toglie un centrocampista, Phil Barber, e butta dentro Ian Wright.
L’impatto di Wright sarà devastante. Un paio di minuti dopo il suo ingresso riceve palla sulla trequarti del Manchester United.
Accelera, lasciando sul posto Mike Phelan e poi saltando Gary Pallister con un finta prima di concludere a rete mettendo la palla alle spalle di Jim Leighton, il portiere scozzese del Manchester United.
Il gol permette al Palace di andare ai supplementari.
Non passano neppure due minuti che John Salako, la guizzante ala dei rossoblu londinesi, va sul fondo e mette un invitante pallone sul secondo palo.
Su quel pallone si avventa Wright che con un acrobatica spaccata lo spedisce in fondo al sacco. Il popolo del Palace esplode di gioia. Sarebbe il primo trofeo nella storia del piccolo e amatissimo club di Selhurst Park.
Mark Hughes però ha intenzioni assai diverse.
A sette minuti dalla fine sarà lui a segnare il definitivo tre a tre che manderà il match alla ripetizione.
Stavolta la partita sarà assai diversa e basterò un gol del terzino Lee Martin a decidere l’incontro.
Ian Wright rimarrà un’altra stagione al Palace.
Sarà una stagione da incorniciare.
Un terzo posto in classifica, miglior risultato nella storia del Club e un trofeo, anche se minore, come la Full Members
Cup, da mettere finalmente in bacheca. Ian Wright sarà ancora una volta il capocannoniere della squadra.
Venticinque reti di cui quindici in campionato.
Ma a quasi 28 anni c’è bisogno di nuove sfide, di nuovi stimoli e di “provarsi” in realtà maggiori.
E’ solo una questione di tempo prima che un grande club riesca ad impossessarsi del cartellino di Wright. Il più deciso di tutti è George Graham, manager dell’Arsenal che mette sul piatto due milioni e mezzo di sterline (un record nella storia dei Gunners) per assicurarsi le sue prestazioni.
Saranno i soldi spesi meglio dal manager scozzese che costruirà un ciclo vincente con Ian Wright al centro dell’attacco. Wright sarà capace di confermarsi miglior realizzatore al Club per sei stagioni consecutive, diventando un idolo assoluto del popolo di Highbury.
A 35 anni lascerà i Gunners quando è evidente che i suoi giorni migliori sono ormai alle spalle.
Dopo un dignitoso periodo al West Ham arrivano stagioni meno felici culminate con l’infelice periodo al Celtic di Glasgow.
Nel 2000, dopo aver contribuito al ritorno del Burnley in Division One, Wright decide di appendere gli scarpini al chiodo.
Diventerà un eccellente commentatore televisivo, brillante, sagace e sempre molto critico nei confronti dei suoi “colleghi” attaccanti.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Con il padre che si dà “alla macchia” quando Wright ha solo sei anni l’infanzia di Wright è tutt’altro che semplice. Il nuovo compagno della madre è un poco di buono e i soprusi che Ian e suo fratello Maurice devono subire sono spesso crudeli e ingiustificati.
Ricorda lo stesso Wright che uno dei “divertimenti” preferiti del padrino era al sabato sera al momento di “Match of the day” la popolarissima trasmissione calcistica che mostrava gli highlights del campionato e attesa con trepidazione dai due fratelli “malati” di calcio. Il padrino, con la tv accesa, li costringeva a girarsi dalla parte opposta alla tv, facendo loro sentire il commento ma impedendo a Ian e a suo fratello di vedere le immagini. Ian racconta neppure le sue lacrime disperate e copiose riuscivano a commuovere il padrino mentre il fratello Maurice cercava inutilmente di consolarlo.
“Per anni quando sentivo la sigla di “Match of the day” mi arrivava una gran fitta nel petto con il ricordo che andava a quei terribili giorni” racconta ancora oggi l’ex-bomber di Palace e Arsenal. Nell’infanzia di Wright ci fu però una persona speciale.
Un suo professore alle elementari che si prese cura di lui come di un padre.
“Ero veramente un bambino difficile” ricorda Wright.
“Non era che non capissi le cose o facessi fatica ad apprendere. Era semplicemente che non riuscivo a stare fermo più di cinque minuti … che più o meno era il mio massimo periodo di concentrazione. Finivo quasi sempre per essere espulso dalla classe. Fu lì che alla quarta o alla quinta volta che mi vide in corridoio Mister
Sydney Pigden si prese cura di me. Mi insegnò tutto lui. Non solo la didattica, ma a controllarmi, a canalizzare la mia rabbia e a contare fino a dieci prima di esplodere come facevo di solito. Mi affidò perfino delle responsabilità importanti in ambito scolastico. Mi fece anche da allenatore, insegnandomi tantissime cose che ho poi portato dentro per tutto il resto della carriera”.
“Non calciare sempre di potenza. Guarda dov’è posizionato il portiere e poi mettila con delicatezza dove sai che non può arrivare” fu uno dei suoi tanti preziosi consigli. Fu la prima persona che vide in me cose che nemmeno io sapevo di avere.
“Un giorno di Mister Pigden mi chiamò. Avevo appena fatto il mio esordio con la Nazionale d’Inghilterra. Lui mi disse che questo lo aveva reso orgoglioso come nient’altro nella sua vita. Aveva fatto il pilota d’aereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Eppure ero io la cosa ad averlo reso più orgoglioso …” è il commosso ricordo di Wright.
Il più grande amico in ambito calcistico per Ian Wright è stato David Rocastle.
Cresciuti entrambi a Brockley erano praticamente sempre insieme. “Rocky fu come un secondo fratello per me” ricorda Wright.
Nonostante i quattro anni di differenza di età il legame tra i due era solidissimo.
“David continuava a ripetermi che era impossibile che io non giocassi nei professionisti” racconta Wright.
“Gioco contro le squadre giovanili più forti del paese ma uno forte come te non l’ho ancora visto” continuava a ripetere Rocastle all’amico.
“Non mollare Ian, prima o poi ce la farai anche tu, ne sono certo”.
Riuscirono anche a giocare insieme una stagione all’Arsenal, quella del 1991-1992 che fu la prima con i Gunners per Wright ma l’ultima per Rocastle che a causa di un ginocchio malandato era ormai ritenuto prescindibile da George Graham. “Fu tremendo vederlo trasferirsi al Leeds. Lui amava l’Arsenal e all’Arsenal tutti lo amavano. Pensavo di giocare con lui per il resto della mia carriera” racconta sempre Wright del suo rapporto con “Rocky”.
La morte di David Rocastle a soli 33 anni a causa di un tumore rimane ancora oggi uno dei giorni più tristi della vita di Ian Wright.
Infine il ricordo del giorno della finale di FA CUP, il giorno che lo consacrò definitivamente all’attenzione di pubblico e addetti ai lavori.
“Fino a pochi giorni prima del match pareva impossibile che riuscissi a recuperare. Steve Coppel, la cui presenza ed insegnamenti sono stati decisivi per il resto della mia carriera, non voleva arrendersi … come tantomeno intendevo fare io !
Il mercoledì prima della finale viene organizzata un’amichevole a porte chiuse contro una squadra dilettantistica. Ricordo che i miei compagni giocavano in punta di piedi tanto era grande il timore di farsi male prima di un match così importante … mentre io giocavo come un indemoniato per dimostrare che ero in condizione di andare quanto meno in panchina !
Il giorno della finale, dopo il gol del vantaggio del Manchester, Coppel mi disse di prepararmi ad andare in campo. Mancavano poco più di venti minuti alla fine. Più o meno i minuti che avevo nella gambe. Al momento di entrare continuavo a ripetermi una sola cosa: Ian, appena hai la palla tira in porta. Non importa dove ti trovi. Tira. Servirà a far capire che non sei lì per fare presenza ma per lasciare il segno.
Ed ecco che mi arriva il primo pallone. Sono a 30 metri dalla porta. Accelero, evito il recupero di Mike Phelan, il terzino dello United. Mi affronta Gary Pallister ma è troppo precipitoso ! Faccio una finta e rientro sul piede destro, il mio preferito. Guardo la porta. Mi sembra enorme mentre Jim Leighton, il portiere scozzese del Manchester United, mi sembra piccolo piccolo.
Piazzala “a giro” Ian. Niente forza, solo precisione. Quando la palla è entrata mi è sembrato di impazzire. Una botta di adrenalina così non l’ho mai più provata in vita mia. Avevo fatto il gol più importante della mia carriera, nella partita e nello stadio più prestigioso.
… e avevo fatto gol come mi aveva insegnato Mister Pigden …