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I retroscena di Villar Perosa, la notte dei prodigi prima della grande festa della Juve
Un piccolo corteo di anime leggere scende lungo la strada che costeggia quello che per una vita fu l’albergo della Juventus per un mese, d’estate. Procedono, visibli soltanto al vecchio pastore, verso il campo da gioco intitolato a Gaetano Scirea. In testa al gruppo cammina Giovanni Alberto che tutti chiamavano Giovannino. E’ stato il primo ad andarsene contro la logica del tempo. Ciascuno di loro ha una pagina del libro bianconero da narrare. Anche il giovane primogenito di Umberto che quei sentieri tra i boschi li conosce bene. Ad agosto si aggregava ai giocatori allenati dal Trap e per tutti loro non era il figlio o il nipote dei padroni ma un compagno di fatica. Dietro di lui Edoardo, il pezzo mancante della famiglia. Il giovane erede, senza corona e senza scorta, che non erediterà mai nulla perché lasciato solo davanti al portone di una scuola che lui non voleva frequentare perché gli avrebbe negato la libertà dei sogni. Eppure Edoardo, parlando con Giovannino, gli rammenta quando proprio nel castello di Villar rilasciò al giornalista amico un’intervista esclusiva che fece il giro del mondo perché diceva che era tempo per lui di averla presidenza della Juventus come aveva fatto suo padre alla sua età. Forse cominciò quel giorno la sua eclisse.
Il campo da gioco è ormai vicino. Le ombre tremolano sotto la luce della Luna. Domina, seppure di qualche passo indietro, la figura del patriarca. Di Gianni Agnelli. Dell’Avvocato. La storia della grande festa bianconera di mezza estate è la sua festa. Lo è sempre stata. Non si poteva cominciare se prima, nel cielo, non era comparso l’elicottero con a bordo il primo tifoso della Juventus in arrivo da chissà quale angolo del mondo. Puntualmente in jeans sedeva accanto a Boniperti rigorosamente in camicia bianca e se ne andava un attimo prima che il popolo bianconero rompesse le righe e invadesse il terreno di gioco. Era la benedizione che concludeva la messa cantata. Accanto a Gianni, il fratello Umberto. Costretto a portare la croce, spesso immeritata, dell’eterno 'numero due' per tutta la sua esistenza. Anche nella Juventus ereditata dopo la morte dell’Avvocato e gestita, malauguratamente, fin sulla soglia dello scandalo provocato da inaffidabili ed esosi collaboratori. Umberto preferisce glissare e ricordare, invece, quando alla 'prima' di Villar arrivava accompagnato dal piccolo Andrea in pantaloni corti. Oggi il figlio, ormai adulto, lo ripaga anche per le tribolazioni subite. Chiudono il corteo Marella e Susanna. Hanno sempre preferito arte e cultura al pallone anche per via di quella certa misoginia dei maschi di casa.
Il gruppo si trasforma in un piccolo esercito davanti al cancello dello stadio. Lì, ad attenderli, altri personaggi fondamentali per la notte dei prodigi prima della grande festa. Carletto Parola, con tra le dita una gauolise. Carlo Mattrel, finalmente provvisto di occhiali. Omar Sivori che di notte scappava dal ritiro saltando sui tetti per andare a fare all’amore con una cameriera. John Charles che lo copriva e faceva finta di dormire. Il dottor Francesco La Neve che imponeva riso in bianco e pollo ai ferri e i giocatori si portavano in camera le crostate di mele. Romolo Bizzotto che mediava tra le incazzature del Trap e gli scherzi dei ragazzi più discoli. Bruno Mora che passò come una stella filante. Gianfranco Leoncini sempre con il cuore in mano, come allora. Altri, noti e meno noti. A chiudere Gaetano Scirea. E’ lui a chiudere il cancello del 'suo' campo di Villar e ad annunciare che la notte dei prodigi può avere inizio. Fino alle prime luci dell’alba. Il vecchio pastore avrà visto tutto e potrà raccontare.