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    I mali del Milan: analisi e soluzioni

    I mali del Milan: analisi e soluzioni

    Il grande Milan della nostra storia contemporanea, quello degli ultimi trent’anni per intenderci, non c’è più. Ma continua in molte sue componenti a ragionare con quel parametro di grandezza che è ormai fuori dal suo tempo. I dati tecnici sul rendimento della squadra in questo campionato lo confermano, ribadendo un cambiamento storico che è sotto gli occhi di tutti ma che non da tutti è stato compreso. 

    Nel compiere quest’analisi articolata dell’universo Milan ci occorre un viaggio in quattro tappe, la prima è cosa sta accadendo oggi, quella di mezzo è un ampio percorso nelle componenti del club, la terza è una tesi che sintetizzi tutto lo studio fatto e infine l’ultima un estremo tentativo di dare a queste riflessioni una prospettiva futura.


    Partiamo da oggi novembre 2015, un inverno spento per la squadra milanista. I numeri lo confermano e descrivono la mancanza d’identità di un gruppo anonimo ed inconcludente, che doveva essere invece quello del rilancio. Un gruppo da battaglia che non lotta e che di anima guerriera ne ha molto poca. Se una squadra di calcio misura il suo carattere dalla difesa, cioè l’emblema della voglia di vincere e non cedere, nell’attacco vede invece lo sviluppo di un’idea, la filosofia con la quale afferra il gioco.

    Il Milan anche in questo non è né arte e ne parte. Infatti, ha subito più goal (17) di quanti ne abbia segnati (15). Questo è indicativo di una complessiva mancanza nel controllare con la difesa il gioco degli avversari negli spazi e in particolare in quel lasso di tempo in cui si decidono le partite (10 dei 12 goal subiti nel 2° tempo sono tra il 45’ e il 75’) e dall’altro lato di una mancanza di una chiara idea di costruzione della manovra che spieghi come il Milan voglia attaccare e fare goal (48 tiri nello specchio in 13 gare, 16° attacco in questa speciale classifica).

    Al finale è un Milan che subisce nel momento decisivo, senza poter più reagire e che pur attaccando nella media del campionato (289 attacchi, 6° in questa classifica realizzata comparando i dati delle 20 di A, in base ai dati della Lega) trova solo i goal di Bacca (6) e poco, pochissimo dai centrocampisti (3 gol in 10 giocatori), non è quindi una squadra difensiva né un’offensiva, vive nell’ibrido.

    Terminata la prima tappa, vediamo sinteticamente di affrontare la seconda: l’analisi strutturale dei mondi che orbitano nell’universo Milan. Primo, i tifosi: il pubblico del Milan ha palato fino ed è abituato a caviale e champagne, così fatica a credere che la tavola in cui banchettava un tempo è ormai desolatamente vuota. E allora presenta il conto, rimproverando con polemici striscioni a Galliani di non essere più capace di fare mercato indipendentemente dalle disponibilità e all’allenatore di essere uno che “a parole un gran sergente... Ma nello spogliatoio e sul campo non ha cambiato niente” (Milan-Sassuolo, 25 ottobre 2015). Su questo fronte quindi l’analisi che possiamo fare è che il tifo ha (dopo essersi concentrato erroneamente su singoli aspetti) iniziato a capire (paradossalmente allargando il processo a più soggetti, a più mondi) che il problema è strutturale e più complesso del semplice cambiare giocatori e allenatori. 

    Seconda inquadratura, il presidente Berlusconi: c’è differenza in lui tra la costruzione del Milan di ieri (quello padrone del gioco e vincente nel mondo) e quello di oggi (millantato competitivo ma incompleto prima di tutto sul piano della personalità) partecipato con Mr. Bee. Quello era un Berlusconi entusiasta e dotato di una visione a lungo termine (senza volerne raccontare la metodologia che merita per l’interesse e le controversie, un punto a parte), questo un presidente che trova la vittoria solo in vecchi schemi di comunicazione ma che intimamente sa di aver chiuso un’epopea, la sua, e che nel cercare di prolungarla ne disconosce la fine, ritardando il rinnovamento.

    La terza foto ci porta in tribuna d’onore ed è uno stacco naturale quello tra la società e il suo monarca. Il primo ha rappresentato per trent’anni la sua linea nel Milan, la seconda ha faticato quando ha provato a discostarsi dalle idee regie, per tentare di proporne di proprie (vedi Tabarez e Terim, grossi allenatori non supportati). Oggi c’è una diarchia Galliani-Barbara Berlusconi che il tempo quotidiano, quello delle idee poco illuminate e dei risultati deludenti (fuori dalla Champions da due anni) ha reso opaca e del tutto priva di fascino e fare costruttivo.

    La squadra è il quarto tassello: modesta, priva di classe e personalità, ricca di doppioni e giocatori ritenuti forti mentre nella migliore delle ipotesi sono solo vanesi (tranne eccezioni, vedi Bacca) ha manifestato fin qui tutti questi difetti. Il suo errore è secondo noi un errore di “rimessa” cioè quello di sopravvalutarsi, di credersi forte quando non lo è. Mentre avrebbe dovuto e dovrebbe cercare sulle basi dell’unità del gruppo, dell’aiuto reciproco, dell’umiltà al posto della grandezza solo teorica la sua nuova personalità. Infine l’allenatore, il grande campionato dello scorso anno ha segnato una svolta nella sua carriera, permettendogli il salto, quello che va dalla competitività alla ricerca della vittoria. Il punto è qui, crediamo, infatti, che Mihajlovic e il Milan siano incompatibili. Perché? La risposta è questa: un caratteriale duro e serio in una squadra che conosce da anni solo l’idea della classe e dello stile affascinante e ammagliante non funziona. Parlano due lingue diverse, in contrasto. Bisogna scegliere una delle due filosofie non ibridarle.

    TESI E PROSPETTIVE - Finale dedicato in poche righe prima all’idea di fondo di tutto questo studio: il Milan non si è adeguato alla sua nuova realtà. Ha disconosciuto il cambiamento del suo tempo non accentando di aver chiuso un ciclo (con pregi e difetti) e ha continuato su un’effimera idea di grandezza, anziché rinnovarsi su schemi nuovi quali quelli di una ricostruzione totale e non ibrida. E poi alle prospettive: E’ sempre difficile visualizzare il futuro e francamente appare inopportuno, ma crediamo che la via sia quella dell’apertura di un nuovo ciclo, con nuovi approcci e filosofie, difendendo la storia ma reintroducendo come negli anni ’50, ’60, ’80, gli anni illuminati del Milan, un’idea aperta e rivoluzionaria.  

    Matteo Quaglini


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