I calciatori all'alba in fabbrica: l'inutile gesto da libro Cuore di Tramezzani
Fa una certa impressione assistere a questo “beau geste” dal sapore ottocentesco, simile a quello con cui, in Cuore di De Amicis, il padre mostra al figlio Enrico gli operai che tornano a casa stanchi, dopo il lavoro. Sostanzialmente per dirgli di rispettarli, ma anche per comunicargli che lui non sarà mai come loro. Un gesto, quello di Tramezzani, di due secoli fa, nel quale per altro, qualcuno guarda qualcun altro lavorare. E, alla fine, se di sudore si tratta, a sudare sono maggiormente i calciatori, rispetto a un gruppo di operai in camice bianco, mascherine, guanti. Oltre agli operai c’erano i tecnici al computer, gli amministrativi, le segretarie e i dirigenti. Fra i giocatori è sorta una domanda: “Ma perché non potremmo stare dietro a un computer o a una scrivania?”
Il gesto educativo, però pedagogicamente obsoleto, ha mostrato tutti i suoi limiti, quando, chiedendo una deroga al caporeparto (oggi Direttore di produzione), gli addetti alla catena di montaggio (oggi si chiamano così) si sono avvicinati ai giocatori chiedendo loro una serie di autografi. Questo per dire che le buone intenzioni devono essere commisurate ai tempi e ai modi. Sembra, infatti, di assistere alla riproposta dei piccioni viaggiatori in tempi di e-mail. Pensate che i giocatori del Lugano abbiano temuto di essere deportati in massa in fabbrica? Che abbiano percepito, all’ improvviso, di rubare il pane invece di guadagnarselo, quando il pane è commisurato al volume d’affari e di denaro che loro fanno girare? Per di più, può la lodevole, ma paternalistica, iniziativa educativa generare nuove ispirazioni tattiche nel centrocampista o rafforzare le “molle” del portiere del Lugano? Un ultima domanda: li portiamo in fabbrica ( a vederla) perché hanno perso? Se, invece, vincono tutti al ristorante “pluristellato”?
Il divismo dei calciatori deriva da diversi fattori, fra i quali la spettacolarizzazione della società occidentale, da cui il calcio non è certo indenne e non sarà una paternale a cambiare le cose, nemmeno nel breve, nemmeno nella prossima partita del Lugano. D’altra parte, i primi a idolatrare i calciatori sono i tifosi, l’opinione pubblica e, per restare al contesto, gli stessi “addetti alla catena di montaggio”.
Viene in mente un episodio d’una decina d’anni fa, accaduto a Firenze. Un giovane di colore stava per entrare in un supermercato, quando venne bloccato da un commesso perché era scattata l’ora di chiusura. In verità mancava ancora una decina di minuti, ma si sa come va, gli addetti hanno voglia di far presto, tornare a casa e allora operano la cosiddetta chiusura preventiva. Di fronte a un immigrato poi…
Il giovane insisteva e il commesso cominciò ad alzare la voce dandogli del tu, usando i verbi all’ infinito (“Tardi…tu andare…noi chiudere”). La tensione stava salendo, ma un cassiere lo riconobbe: quello non era un immigrato qualunque, era Bismark, giovane promessa della Fiorentina. Allora i cancelletti si aprirono, le luci si riaccesero e Bismark, dopo aver rilasciato autografi in quantità, potè finalmente comprare la sua scatola di Tic-Tac.
Ecco, forse oggi servirebbe di più assistere a una scena come questa: non certo per farli giocare meglio, i calciatori, e nemmeno per punirli. Semplicemente per indicare loro, soprattutto quando vincono, che esiste un altro mondo (di non garantiti) oltre a quello del pallone, dei suv e dei videogiochi. E comunque non è detto che non ne potrebbero prendere cinque anche alla prossima partita.