Gullit: 'Mi voleva la Juve, ma scelsi il Milan. Capello ha raccontato troppo, ecco cosa non sopportavo...'
Intervenuto su Rai 3, ospite della puntata odierna della trasmissione Che Tempo Che Fa, Ruud Gullit ha presentato il suo libro "Non guardare la palla" in cui racconta la sua carriera. Tanti gli aneddoti raccontati a partire dall'addio al Milan: "Per me è stato un tempo molto importante. Io devo molto al Milan, che mi ha dato una disciplina, ma quando sono andato alla Sampdoria ci sono andato perché i medici rossoneri non avevano più fiducia in me e nelle mie ginocchia. Si diceva che fossi sempre rotto, ma non era vero, stavo benissimo ma non mi facevano giocare. Ero molto deluso, per quello sono andato via".
SU MANDELA - "Mandela mi disse: "Ora che sono presidente ho tanti amici, tu sei uno dei pochi che era mio amico anche quando ero in carcere”. Mi ha colpito.
SULLA SAMPDORIA - "La Sampdoria mi ha dato la libertà di giocare: al Milan ho fatto al massimo 9 gol a stagione, quando sono arrivato alla Samp ho fatto 15 gol, non ho mai segnato così tanto. La Sampdoria mi dava felicità,libertà, anche libertà di vita, perché a Milano era difficile per me andare in giro, mentre a Genova andava abbastanza bene".
IL GOL AL MILAN - "Ero talmente frustrato dal fatto che non mi facevano giocare, che quando con la Samp incontrammo il Milan e io segnai il gol, invece di fare come quei giocatori che segnano ma non festeggiano, io festeggiai molto. Mi avevano colpito al cuore, perché il Milan era nel mio cuore, e stavo male per essere stato trattato in quel modo, per questo motivo ero contento di aver fatto gol".
IL RITORNO - "Quando il Milan mi ha chiesto di tornare è stato ancora il mio cuore a riportarmi là, ma è stato uno sbaglio tornare al Milan, perché ero cambiato come persona, potevo esprimermi in modo diverso e facevo molti più gol e molte più cose. Il Milan è stato il massimo per me, ma la Sampdoria ha un posto molto speciale".
SU SACCHI - "Sacchi non sapeva parlare inglese, io non sapevo parlare italiano, quindi la comunicazione fra di noi era complicata. Di certo l’inglese di Sacchi era peggio del mio italiano. Così i primi tempi ci limitavamo ai gesti. Lui mi diceva di andare ‘su e giù’, indicandomi che dovevo fare la spola fra centrocampo e area di rigore. Poi, una volta, voleva spiegarmi come fare una finta, fece un rapido movimento del collo e si stirò il muscolo del collo. Fu costretto a un mese di terapia. Urlava sempre, in continuazione. Ma ben presto perse la voce. Così si procurò un megafono, ma purtroppo urlava pure nel megafono, così la sua voce risultava ancora più insopportabile. Poi un’altra cosa che odiavamo era la sua abitudine a parlare coi calciatori prima delle partite. E non è tanto piacevole parlare di calcio alle 11 di sera. Così, quando eravamo in ritiro, se si sentivano dei passi nel corridoio, tutti spegnevano la luce e facevano finta di dormire.
SU MARADONA - "Maradona non era soltanto un grande calciatore, era un leader. Sapeva vincere da solo, come ha fatto al Mondiale. Era una bravissima persona. Il suo problema era che voleva essere amato da tutti. E quando i giornalisti lo stuzzicavano lui ci rimaneva male. Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".
BATTUTA SULLO STILE - "Non mi piace riguardare le vecchie foto. Con quei baffi e quelle treccine sembravo un attore porno. Sono molto meglio adesso".
DALLA JUVE A CAPELLO - Sempre ieri sera, poi, Gullit ha parlato a Sky Sport: "Giocare in Serie A è stato incredibile, tutti i fuoriclasse del mondo in quel periodo si trovavano in Italia. Il mio arrivo? Inizialmente mi voleva la Juventus. Quando ero al Psv un nostro dirigente aveva una idea di Super League, la Juve voleva partecipare solo perché volevano me. Loro avevano vinto tanto, il Milan non aveva vinto niente. Così ho preferito andare in una squadra che ancora non aveva vinto. Con il Milan avevamo un modo di giocare già all'avanguardia, in quel periodo le squadre avevano degli attaccanti che stavano fermi ad aspettare il pallone, da noi invece non si poteva fare. Dovevamo iniziare il pressing da subito. Il Milan ha sempre fatto di tutto per mettere i propri giocatori nelle condizioni di fare meglio, per questo è stato molto avanti. Capello o Sacchi? Tutti e due bravi allenatori, ma diversi. Per me, a livello personale, non c'era differenza tra i due. Con Capello ho avuto qualche discussione, avevamo opinioni diverse e ci siamo scaricati un po' di parole. Lui poi ha raccontato questo episodio nello spogliatoio del Real Madrid, invece al Milan nessuno parlava di quello che succedeva nello spogliatoio. E' una regola del calcio, non deve mai uscire niente di quel che succede negli spogliatoi per essere vincenti. Ci sta che succedano certe cose, si deve litigare, nel calcio non è importante essere amici ma bisogna sempre rispettarsi. Al Milan questa cosa funzionava al massimo. Quando sono arrivato al Milan era tutto molto serio, io invece cercavo di essere sempre allegro. Era il mio modo di scaricare la tensione. Ma c'era una cosa che proprio non sopportavo. Quello che odiavo di più nello spogliatoio di San Siro era il bagno: c'era la turca, così anche nell'unico posto dove si può stare rilassati dovevo sempre stare in tensione...".
L'ADDIO AL CHELSEA - "Al Chelsea è stata una situazione strana: una volta mi interessava Laudrup, ma ad un certo punto non ho saputo più niente. Vialli e Zola avevano già parlato con Laudrup e facevano il mio lavoro, io invece non sapevo nulla. E così il giorno dopo sono stato esonerato. La mia rabbia non era verso Zola o Vialli, ma verso un dirigente che stava sempre con me e non mi aveva detto niente. La società mi proponeva giocatori che io non volevo, per questo ho avuto la sensazione di essere un ostacolo, forse c'erano degli interessi particolari da parte di qualcuno. E' andata così".