Guerra fredda e intrighi politici: cosa c'è dietro Psg-City, molto più di una partita di calcio
Ne resterà solo una. Parte stasera la caccia alla Champions di Psg e Manchester City. Un secondo tentativo per i francesi, sconfitti lo scorso anno nella prima finale della loro storia, (quasi) un inedito per i Citizens, alla seconda semifinale di sempre, la prima con Guardiola. Facile, allora, capire quanto ci sia in palio oggi al Parco dei Principi, nomen omen vista l'occasione, dove si sfideranno due proprietà ricchissime, che per i rispettivi club hanno speso cifre astronomiche. Un miliardo e trecento milioni gli investimenti sul mercato del Psg, addirittura un miliardo e ottocento milioni quelli del City: numeri che hanno fatto crescere rispettivamente del 532% e 487% le due società dalle rispettive acquisizioni. In patria hanno già festeggiato varie volte: 25 titoli i francesi, 15 gli inglesi. Ma sin dal primo giorno, per ambo le proprietà, l'obiettivo era il dominio europeo. Un dominio che non coinvolge solo il calcio, vetrina ottimale su un palcoscenico mondiale che coinvolge inevitabilmente anche affari e politica.
PRESTIGIO POLITICO E VETRINA - Il primo protagonista è Tamim bin Hamad al-Thani, dal 2003 emiro del Qatar che nel 2005 dà vita al fondo sovrano di Doha, comprando il Psg nel 2011 per 80 milioni di euro dopo l'acquisto del Miami City FC. L'emiro affida la presidenza a Nasser Al-Khelaifi, che da subito si muove con l'obiettivo di rendere Parigi, location perfetta, il teatro dove mostrare il proprio potere. Doha lavora per uscire dall'iniziale anonimato in Medio Oriente, provando a svincolarsi dalla dipendenza dei giacimenti di gas ma soprattutto dal controllo saudita. L'Arabia, infatti, per decenni ha considerato il Qatar un alleato fondamentale per proteggersi dall'Iran, nemico principale del Consiglio di Cooperazione del Golfo guidato proprio da Riyad. Da qui nasce la volontà qatariota di forzare i limiti sulla politica estera: una logica autarchica che ha scatenato l'ira araba, sfociata nell'embargo datato giugno 2017 con cui l'Arabia, insieme a Emirati Arabi (tenere a mente il nome...), Egitto e Bahrain hanno chiuso i rapporti con il Qatar, accusato formalmente di sostenere integralisti e fomentare il terrorismo, puntando il dito contro i finanziamenti qatarioti alla Fratellanza Musulmana e la propaganda della tv Al Jazeera verso le primavere arabe.
PERCORSO DOMINANTE - Da subito, allora, a Parigi si dà vita a investimenti che vanno oltre il calcio, come l'arrivo di Beckham o Ibrahimovic, presentato in pompa magna sotto la Tour Eiffel. Ibra che, in campo, ha comunque scritto la storia del club a suon di gol. Fino ai colpi Neymar e Mbappè dell'estate 2017, in risposta all'embargo arabo, con follie andate oltre ai paletti del FFP, le cui sanzioni sono state aggirate tramite salate - ma indolori - multe. Anche grazie a loro è arrivato in finale di Champions League lo scorso anno, ma ora è il momento di sferrare l'attacco decisivo. Al-Khelaifi, intanto, ha guadagnato potere e prestigio anche a livello politico: ha scalzato Agnelli dalla poltrona di presidente dell'Eca dopo il flop Superlega, restando vicino alla Fifa complice l'accordo per i criticati Mondiali del 2022.
GUERRA FREDDA - Ricordate gli Emirati Arabi? Rivali politici del Qatar e di conseguenza del suo Psg. Proprio dagli Emirati arriva lo sceicco Mansour bin Zayd Al Nahyan, cugino dell'emiro Tamim bin Hamad al-Thani (e torniamo all'acquisto del Psg...) e fondatore dell'Abu Dhabi United Group, che nel settembre 2008 acquista il Manchester City. Le continue campagne acquisti faraoniche necessitano ora di coronare il progetto con un trofeo pesante, possibilmente prima dei rivali. Membro della famiglia reale di Abu Dhabi e Ministro per gli affari presidenziali degli Emirati, lo sceicco vanta un patrimonio da 19 miliardi di euro grazie al petrolio, ma ha avviato attività anche nelle auto di lusso, nelle corse dei cavalli e addirittura nelle navi spaziali, rispondendo al Miami City FC di Al-Khelaifi con la galassia calcistica che coinvolge anche Yokohama Marinos, New York City (dove ha acquistato David Villa, Lampard e Pirlo), Montevideo City, Girona, Sichuan Jiuniu, Mumbai City, Lommel, Troyes. Dietro alle spensierate spese per il City c'è la volontà politica di affermare le potenzialità di Abu Dhabi nei confronti della rivale Dubai, capitale di uno degli altri sei Emirati e centro economico-politico del Medio Oriente grazie all'attrazione turistica e al ruolo importante nel settore degli affari e dei trasporti. Alla luce di questo si capiscono meglio le follie di emiri e sceicchi sul mercato, la volontà di costruire un impero calcistico che funga da vetrina politica: a parlare, però, sarà il campo. Da stasera parte la caccia alla finale: ne resterà solo una.
PRESTIGIO POLITICO E VETRINA - Il primo protagonista è Tamim bin Hamad al-Thani, dal 2003 emiro del Qatar che nel 2005 dà vita al fondo sovrano di Doha, comprando il Psg nel 2011 per 80 milioni di euro dopo l'acquisto del Miami City FC. L'emiro affida la presidenza a Nasser Al-Khelaifi, che da subito si muove con l'obiettivo di rendere Parigi, location perfetta, il teatro dove mostrare il proprio potere. Doha lavora per uscire dall'iniziale anonimato in Medio Oriente, provando a svincolarsi dalla dipendenza dei giacimenti di gas ma soprattutto dal controllo saudita. L'Arabia, infatti, per decenni ha considerato il Qatar un alleato fondamentale per proteggersi dall'Iran, nemico principale del Consiglio di Cooperazione del Golfo guidato proprio da Riyad. Da qui nasce la volontà qatariota di forzare i limiti sulla politica estera: una logica autarchica che ha scatenato l'ira araba, sfociata nell'embargo datato giugno 2017 con cui l'Arabia, insieme a Emirati Arabi (tenere a mente il nome...), Egitto e Bahrain hanno chiuso i rapporti con il Qatar, accusato formalmente di sostenere integralisti e fomentare il terrorismo, puntando il dito contro i finanziamenti qatarioti alla Fratellanza Musulmana e la propaganda della tv Al Jazeera verso le primavere arabe.
PERCORSO DOMINANTE - Da subito, allora, a Parigi si dà vita a investimenti che vanno oltre il calcio, come l'arrivo di Beckham o Ibrahimovic, presentato in pompa magna sotto la Tour Eiffel. Ibra che, in campo, ha comunque scritto la storia del club a suon di gol. Fino ai colpi Neymar e Mbappè dell'estate 2017, in risposta all'embargo arabo, con follie andate oltre ai paletti del FFP, le cui sanzioni sono state aggirate tramite salate - ma indolori - multe. Anche grazie a loro è arrivato in finale di Champions League lo scorso anno, ma ora è il momento di sferrare l'attacco decisivo. Al-Khelaifi, intanto, ha guadagnato potere e prestigio anche a livello politico: ha scalzato Agnelli dalla poltrona di presidente dell'Eca dopo il flop Superlega, restando vicino alla Fifa complice l'accordo per i criticati Mondiali del 2022.
GUERRA FREDDA - Ricordate gli Emirati Arabi? Rivali politici del Qatar e di conseguenza del suo Psg. Proprio dagli Emirati arriva lo sceicco Mansour bin Zayd Al Nahyan, cugino dell'emiro Tamim bin Hamad al-Thani (e torniamo all'acquisto del Psg...) e fondatore dell'Abu Dhabi United Group, che nel settembre 2008 acquista il Manchester City. Le continue campagne acquisti faraoniche necessitano ora di coronare il progetto con un trofeo pesante, possibilmente prima dei rivali. Membro della famiglia reale di Abu Dhabi e Ministro per gli affari presidenziali degli Emirati, lo sceicco vanta un patrimonio da 19 miliardi di euro grazie al petrolio, ma ha avviato attività anche nelle auto di lusso, nelle corse dei cavalli e addirittura nelle navi spaziali, rispondendo al Miami City FC di Al-Khelaifi con la galassia calcistica che coinvolge anche Yokohama Marinos, New York City (dove ha acquistato David Villa, Lampard e Pirlo), Montevideo City, Girona, Sichuan Jiuniu, Mumbai City, Lommel, Troyes. Dietro alle spensierate spese per il City c'è la volontà politica di affermare le potenzialità di Abu Dhabi nei confronti della rivale Dubai, capitale di uno degli altri sei Emirati e centro economico-politico del Medio Oriente grazie all'attrazione turistica e al ruolo importante nel settore degli affari e dei trasporti. Alla luce di questo si capiscono meglio le follie di emiri e sceicchi sul mercato, la volontà di costruire un impero calcistico che funga da vetrina politica: a parlare, però, sarà il campo. Da stasera parte la caccia alla finale: ne resterà solo una.