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Guardiola sfata il tabù semifinale, ora il City è una vera big in Europa: ci sono voluti cinque anni e il baby pupillo Foden
UN MILIARDO DOPO, L'EROE E' FATTO IN CASA - 955 milioni di euro, quasi un miliardo. Tanto ha speso il City dall'arrivo di Guardiola per fare l'ultimo step e consacrarsi come super-potenza europea, una serie di investimenti costante negli anni se si pensa che anche in questa stagione ne sono stati investiti circa 178 per regalare al tecnico due difensori, Ruben Dias (68 milioni) e Nathan Aké (45), e uno dei giovani più interessanti nel panorama europeo, Ferran Torres (23). Un mercato faraonico, spesso criticato e potenzialmente ingombrante per i prospetti di casa. Ma il calcio è fatto di favole e anche il City ha la sua: Phil Foden. Uno di Manchester, cresciuto nell'academy e diventato un perno imprescindibile per Guardiola, che in tempi non sospetti lo aveva già incoronato come uno il miglior giovane con cui avesse mai lavorato. E allora chi meglio di Foden per sancire l'approdo in semifinale: decisivo all'andata con il gol vittoria, prezioso anche a Dortmund con la bordata da fuori che fissa il risultato sull'1-2 e spegne qualunque velleità di rimonta del Borussia. E quell'abbraccio con Pep, che in sé raccoglie la liberazione dell'intero popolo azzurro dopo la lunga attesa: Foden è il simbolo della rinascita e molto di più, è il simbolo di quello che può essere il definitivo salto di qualità del City.
GIOCO E CAMBIO DI MENTALITA' - Forse la più grande impresa cercata da Guardiola a Manchester: dare una mentalità da vera big europea a una squadra senza tradizione nelle maggiori coppe continentali (in bacheca c'è solo una Coppa delle Coppe conquistata nel 1970). Quello che l'eliminazione dello scorso anno contro il Lione aveva evidenziato più delle uscite di scena precedenti, era proprio il peso avvertito dai giocatori per la mancanza di uno status consolidato: avversari inferiori per tasso tecnico e gioco espresso, ma capaci di sfangarla con malizia contro un gruppo condannato dai propri errori, difensivi o sotto porta (un clamoroso sbaglio di Sterling portò al terzo gol dell'OL). Un anno dopo qualcosa è cambiato, ora il City non è più una squadra che domina il campo solo in patria, dove ha comunque già messo virtualmente le mani sulla Premier, ma è un collettivo in grado di imporsi mentalmente anche in Europa. Anche quando le condizioni possono mettere in difficoltà psicologica. Il 2-1 al Dortmund dell'andata era 'bugiardo', un vantaggio minimo a fronte di un numero elevato di occasioni, e la rete di Bellingham in altri tempi avrebbe tolto certezze, così come la traversa di De Bruyne. Non quest'anno, Guardiola ha tenuto la barra e a premiare l'audacia è arrivata la fortuna, con il goffo mani di Emre Can a regalare il rigore della tranquillità prima del definitivo sigillo di Foden. Dalla parte del City non c'è più solo il gioco, ma la consapevolezza di essere diventata una vera big del calcio europeo, ma ora arriva l'esame più difficile: il Paris Saint-Germain delle meraviglie, quello che ha incantato ed eliminato il Bayern campione. Quello di Neymar e Mbappé, cui lo sfrontato Foden ha già lanciato la sfida: il City di Guardiola non ha più paura e vuole conquistare la sua prima finale.
@Albri_Fede90