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Gosens: 'Il Psg non è squadra, noi sì! Papà? Giocava, poi quando la birra è diventata più importante del match...'
SUL RUOLO - "Se sono un difensore? Bella domanda. Il mio ruolo è coprire tutta la fascia sinistra. Nel sistema di Gasperini devo attaccare e difendere. Non sono un esterno alta che pensa solo alla fase offensiva. Quindi, per rispondere, sono un attaccante, ma pure un difensore".
SUL PSG - "Abbiamo un doppio vantaggio. Il primo è il ritmo partita: in Italia il campionato è ricominciato e finito, in Francia no. Loro, a parte la finale della Coppa nazionale, non giocano da quattro o cinque mesi. Il secondo è che noi ci muoviamo da squadra: loro hanno tanti top player che possono decidere la partita con un'azione individuale, ma non fanno squadra".
I TRE LEADER - "Papu, De Roon e Muriel: ride, scherza, fa gruppo, organizza le cene tra compagni".
IL SEGRETO - "Il lavoro durante la settimana. Non c'è paragone neanche con quello che facevo in Olanda, dove giocavo: all'Atalanta si suda il triplo. Due o tre volte a settimana, se non ci sono partite di mezzo, facciamo esercizi di forza per le gambe: se non hai fiato nei polmoni non puoi giocare il nostro calcio, che è dispendioso e rischioso allo stesso tempo. Ma non esiste giorno in cui non lavoriamo col pallone. Gasperini ci ripete sempre: "Se non siamo capaci di giocare con la palla, non saremo capaci di fare gol".
IL PADRE - "Giocava, ma si è fermato nei dilettanti perché a un certo punto la birra del dopopartita era diventata più importante della partita stessa (ride, ndr)".
SOGNO - "Anche io fino a 19 anni giocavo nei dilettanti. Sognavo di fare il poliziotto perché mio nonno era poliziotto e una volta, quando avevo 6 anni, tornò dal lavoro sull'auto della polizia, mi mise il suo berretto in testa, mi fece sedere al posto di guida e azionò la sirena lampeggiante".
LA NAZIONALE - "Il mio cuore è diviso a metà. Ho tanti amici olandesi, ho giocato in Olanda. Alla fine, però, sono cresciuto in Germania quindi diciamo che il cinquantuno per cento di me è tedesco".
L'ARRIVO ALLA DEA - "Sartori, il direttore sportivo, mi disse che era venuto a vedermi giocare più di venti volte. Mi spiegò che il club considera i campionati di Olanda e Belgio molto interessanti".
LO STUDIO - "Psicologia, perché mi interessa la mente umana. Mi interessa capire cosa spinge le persone a un'azione piuttosto che a un'altra. Mi manca un anno prima della tesi. La Psicologia sarà il mio futuro: aprirò uno studio per aiutare soprattutto chi fa sport professionistico. So cosa vuol dire sentire addosso la pressione di dover far bene, convincere l'allenatore, i tifosi, la critica, e dover convivere con tutto questo".