Gli ultrà razzisti e l'ultrà Salvini: l'Italia corre da sola nella strada della vergogna
Stefano Agresti
Diciamo la verità: per il nostro calcio, anzi per il nostro Paese, il razzismo è un problema irrisolvibile. Perché non c'è la forza per risolverlo, e non c'è nemmeno la volontà: servirebbero una Federazione e tutti i club attivi in questa battaglia, ma soprattutto servirebbe uno Stato che li guida, li sostiene, è in prima linea. E questo non succede. Anzi. L'esempio arriva dall'ultrà milanista Salvini, che è anche vicepremier: ebbene lui dice che non serve sospendere le partite quando ci sono cori razzisti come quelli ascoltati a San Siro da parte dei tifosi della Lazio, e quindi che hanno fatto bene ad andare avanti. A Salvini, l'uomo che dovrebbe far rispettare le leggi (in questo Paese il governo ha il potere esecutivo, per chi lo avesse dimenticato), non interessa se c'è una norma che dice esattamente il contrario. Per il vicepresidente del consiglio, quella norma di può, anzi si deve violare. Preferisce prendersela con il Milan perché ha perso la partita, magari con Gattuso perché fa giocare Tizio anziché Caio. Probabilmente gli porta maggiore consenso. Così il responsabile dell'ordine pubblico presente allo stadio, se sospendesse una partita per razzismo, si metterebbe contro il ministro degli interni, che è sempre Salvini. Meglio non "percepire" i cori, porta meno guai. L'Europa ci osserva, sgrana gli occhi, si indigna. Ma noi andiamo avanti per la nostra strada. La strada della vergogna.