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    Gli italiani e i social: opportunità, paure e incognite

    Gli italiani e i social: opportunità, paure e incognite

    • Paolo Mazza
      Paolo Mazza
    La dimensione relazionale è uno dei fondamenti imprescindibili della vita degli esseri umani e con l’avvento del digitale gran parte della nostra quotidianità si è spostata nelle cyber-agorà. Come infatti spiegano gli ultimi dati Audiweb, nel nostro Paese ogni persona trascorre 16 ore al mese sui social network. Questo è il motivo per cui oggi si parla tanto di onlife, prendendo in prestito un termine tanto caro al professor Luciano Floridi.

    Se queste piattaforme possono effettivamente ampliare la nostra rete di relazioni, aiutandoci a sentirci vicini anche se lontani, c’è bisogno anche di riflettere sulle reali finalità e sugli effetti che possono derivare dall’abuso di questi strumenti, specialmente per i più giovani. Nel mondo odierno vigono infatti le regole della cosiddetta economia dell’attenzione e l’età gioca un ruolo importante nella proposta dei contenuti. Infatti, un social network come TikTok è stato ingegnerizzato per trattenere e intrattenere il più possibile in quel contesto i giovani appartenenti alla Generazione Z. Questi hanno imparato a maneggiare le più recenti tecnologie fin dalle prime battute della loro vita, sviluppando la propria attività cognitiva intorno a tutto ciò che è immediato. Non a caso la Generazione Z preferisce foto, video e stories, mentre con l’aumentare dell’età le preferenze ricadono sui post scritti, sui commenti e sugli articoli. In poche parole ciò che necessita di più tempo.

    Viviamo un’epoca in cui pensare, riflettere e memorizzare non costituiscono più la norma, un eterno presente fatto di istanti che non puoi permetterti di perdere altrimenti rimani fuori. The fear of missing out è infatti uno dei turbamenti peggiori di chi non riesce a stare al passo di questa (molto spesso) folle velocità e alla domanda sul perché gli utenti smettono di usare i social network (fonte Repubblica.it), il 30% risponde che non sopporta di essere sempre connesso e il 29% che perde troppo tempo. Questi dati evidenziano alcune delle ombre che si celano dietro il cyber-space: dalla dipendenza alla mancanza di privacy, passando per l’isolamento e l’insoddisfazione della propria immagine social.

    Dunque l’obiettivo non è quello di demonizzare i social network che, se usati con i guanti, possono rappresentare una grande opportunità anche in ambito lavorativo, visto il processo di digitalizzazione che sta investendo quest’ultimo. C’è bisogno, però, che le persone – specialmente i ragazzi - siano più consapevoli dei rischi a cui vanno incontro nel momento in cui si connettono sulle piattaforme social. Tale consapevolezza deve essere inculcata dalle radici, in particolare dall’istruzione, che deve liberarsi del torpore tradizionalista al quale è ancorata e investire tempo e risorse sulla formazione di una sana cybercultura.

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