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Gli errori di Alisson e la moda della costruzione dal basso: rischio psicodramma, è davvero un vantaggio?
Proviamo a ragionarci sopra, con una premessa: la costruzione dal basso - ovvero l’inizio dell’azione che coincide con il passaggio corto del portiere ad un suo compagno - è la vera novità tattica di questa stagione. E’ chiaro che il portiere che gioca con i piedi è un uomo in più. Lo capì per primo Zeman. Il suo Foggia trent’anni fa giocava con Mancini che stazionava a venti metri dalla propria porta. Era di fatto un difensore aggiunto. C’è stata l’evoluzione della specie e negli ultimi dieci anni Neuer - al Bayern e con la nazionale tedesca - ci ha fatto vedere quanto sia importante avere un portiere che giochi anche da libero. Però qualcosa è andato storto.
Se la costruzione dal basso diventa una delle cinque-dieci soluzioni per far partire l’azione, allora siamo d’accordo che è un buon modo per aprirsi il campo. Ma se diventa la regola allora scivoliamo nel territorio dello psicodramma. Abbiamo visto cose che voi umani non immaginate: portieri incespicare sul pallone, altri azzardare passaggi di due metri con il fiato sul collo del centravanti avversario, altri ancora - la maggioranza - scambiarsi tre-quattro volte il pallone con i compagni per poi calciarlo a casaccio, facendo solo guai e spesso consegnando il pallone agli avversari. E così diventa una costruzione/distruzione dal basso.
Il primo ad insistere su questa soluzione è stato De Zerbi a Sassuolo l’anno scorso. Gli obiettivi erano chiari: uscire dal pressing, dare ampiezza al campo, trovare una chiave per un’azione che diventa subito offensiva. Bisogna avere i piedi buoni, per prima cosa. E la qualità media dei difensori della Serie A negli ultimi anni si è livellata, ma verso il basso. Banalmente: nel Barcellona di Guardiola la costruzione dal basso è un meccanismo (quasi) perfetto, nel Napoli di Gattuso - o nel Crotone di Stroppa - no. Cioè: se hai Ederson hai un valore aggiunto, se hai Meret (o Ospina) o Cordaz no. E parliamo qui di capacità di gestire il pallone con i piedi, non di valore generale del portiere. E’ certamente una rivoluzione filosofica, che dà valore al primo passaggio del portiere; ma il nostro sospetto è che sia diventata una moda. Lo fanno tutti, lo faccio anch’io. La regola introdotta l’anno scorso - secondo cui su rimessa dal fondo il portiere può passare la palla ai propri compagni in area di rigore (prima doveva calciarla fuori) - ha sicuramente spinto verso la direzione di un avvio di manovra costruito in questo modo.
Abbiamo il timore che la costruzione dal basso porti a conseguenze simili a quelle provocate dalla zona del Milan di Sacchi alla fine degli anni ’80. Allora sembrava che non si potesse giocare in altro modo. Giocavano tutti a zona, dalla Serie A alla C2, girone C. Pochi, rari e preziosi gli allenatori che andavano controcorrente o che - meglio ancora - erano in grado di trovare soluzioni alternative. Sta succedendo un po’ la stessa cosa. E non è un bene quando il calcio trova la sua comfort zone e si adagia. Meglio inventarsi qualcosa, meglio rendere semplice ciò che è complicato. Poi magari tra qualche anno scopriremo che il lancio lungo del portiere - a scavalcare la mattanza di centrocampo - sarà tornato di moda e allora saranno tutti preoccupati di trovare portieri-quaterback. Nell’attesa cerchiamo di capire se - come da domanda iniziale - sono più i vantaggi o i pericoli che la costruzione dal basso comporta.