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    Gli Azzurri e l'esempio dell'ItalBasket: serve ritmo e più voglia della Spagna per andare in finale

    Gli Azzurri e l'esempio dell'ItalBasket: serve ritmo e più voglia della Spagna per andare in finale

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Tutti vorrebbero sapere come si batte la Spagna e, certamente in buona fede, la maggioranza elargisce consigli di ogni genere e tipo (il pressing alto, la velocità, l’aggressività) che, ovviamente, Mancini già conosce perché la sua Italia è abituata a praticare bene un po’ di tutto questo e molto altro. Se, al contrario, toccasse a me dire una parola, ma una sola, a proposito del principio di gioco da attuare questa sera, userei la parola ritmo. La Spagna è una squadra lenta soprattutto quando pratica il giro palla. Per arrivare alla conclusione ci arriva, ma attraverso un’infinità di passaggi che, ben lungi dall’essere l’ipnotico tiki taka di stampo guardiolesco, è ormai una tessitura passiva molto prevedibile della manovra.

    Il compito dell’Italia è quello di spezzarla, di impadronirsene e di gestire la palla in modo rapido e, se possibile, imprendibile. Che cosa determina il ritmo di una squadra in possesso di palla? Il numero di tocchi e la rapidità nell’eseguirli. Meno se ne fa (e più campo si ottiene) maggiori sono le possibilità di uscire dal pressing avversario e di avvicinare la porta. Fondamentale è la connessione tra i reparti, le distanze che devono essere minime, la compattezza e la precisione nei passaggi. Non esiste ritmo senza tecnica visto che la palla deve essere sempre, o il più possibile, tra i piedi di chi il ritmo lo vuole gestire.

    I più esperti tra gli allenatori italiani dicono che le partite, ormai, si decidono prevalentemente a centrocampo. Mi permetto di essere d’accordo solo in parte. Ovvero, se riteniamo che il centrocampo non sia solo un reparto, ma soprattutto una zona del campo. E’ lì, dove due squadre corte (quindi strette) e alte (quindi con molti metri di campo dietro le spalle) si incontrano, che bisogna portare la maggiore quantità di uomini. Siano essi esterni di difesa o d’attacco, siano essi ali o mezze ali. E’ lì che bisogna avere la superiorità numerica ed è lì che le qualità tecniche consentono di avere il maggiore possesso palla. Poi ritmo, ritmo e ancora ritmo. Ad un tocco fai girare a vuoto quasi tutti gli avversari.

    Prima di dire chi ci sarà (gli stessi del Belgio, meno uno) è opportuno spiegare quanto inciderà l’assenza di Spinazzola. E’ stato, a mio giudizio, il nostro facitore di gioco alternativo, l’uomo che da sinistra innescava la velocità, superava l’avversario e metteva al centro o, più raramente, andava a concludere. Pochi dubbi, almeno per me, che sia stato il migliore dell’Italia. Ancor meno che oggi la sua assenza sia pesante e difficilmente colmabile. Ne prenderà il posto Emerson Palmieri, che ha meno gamba e meno intraprendenza, ma è più tecnico e più attento alla fase difensiva. Non è giusto fargli cadere addosso responsabilità maggiori di quelle che già si ritrova, sarebbe controproducente farne il bersaglio di scetticismo, anziché incoraggiarlo. Emerson è un buon calciatore che, però, nel Chelsea gioca poco e che, per questo, sta cercando squadra in Italia. Il fatto che la troverà e, ovunque vada, non farà la riserva significa che in Nazionale non è un abusivo. Anzi, a bocce ferme, si giocava il posto con Spinazzola, ma poi il romanista si è dimostrato in forma eccezionale. E infatti solo la rottura del tendine d’Achille lo ha fermato.

    Piuttosto conservo ancora dei dubbi su Immobile. Non a proposito del suo utilizzo (sarà certamente titolare), ma sul suo rendimento, particolarmente deficitario con il Belgio. Mancini, per sostenerlo, ha detto alla vigilia che spesso sono i calciatori più criticati a decidere i tornei. E’ vero, ma per Ciro il problema non è il gol, ma il compito. Contro il Belgio gli si chiedeva di giocare spalle alla porta e di fare la sponda. Ma è contro la sua natura e le sue specificità. Immobile ha bisogno di campo e, allora, delle due l’una: o ce lo determiniamo (il campo) facendo partire Immobile fronte alla porta o ci accontentiamo di qualche giocata, magari risolutiva, in partite di grande generosità, ma non di grande precisione. Dopodiché Forza Ciro sempre. Sperando che Mancini abbia intravisto qualche cenno di crescita e che, magari, basti una sola occasione per farlo tornare splendido e splendente.

    Alla fine non resta che pronosticare. Una semifinale è dura già di per sè, nella Spagna gioca anche la storia recente e un gruppo che Luis Enrique ha saputo portare dalla sua parte proprio grazie alla fiducia concessa ai meno convincenti.
    Voglio però prendere a prestito una delle frasi di Meo Sacchetti, coach della Nazionale di basket prima dell’impresa con la Serbia che ha regalato l’Olimpiade: “In una partita secca vince quello che ci mette un po’ di voglia in più”. L’Italia non conquista l’Europeo dal 1968. E’ l’ora di fare un altro passo decisivo.  

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