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Giusto licenziare Maldini e confermare Pioli: il coraggio dell'impopolarità di Cardinale. Ora costruisca un Milan vincente
Abituato a condividere tutti i suoi progetti con l’intero staff dei suoi collaboratori, Cardinale ha capito che Maldini non era perfettamente in sintonia con le sue idee, rivelatesi fin qui vincenti in tutte le sue attività. E siccome è lui il capo che versa il denaro è giusto che decida di conseguenza. La chiarezza e la piena condivisione del cosiddetto progetto sono la base indispensabile per lavorare bene e quindi è fuori luogo, anche se romanticamente comprensibile, il rimpianto per Maldini. Anche perché dopo il principale motivo della separazione ce ne sono altri, tutt’altro che trascurabili. Come ha riconosciuto più volte lo stesso Maldini, lo scudetto era arrivato inaspettato e ciò significa che Pioli senza una squadra all’altezza aveva compiuto un miracolo, ripetuto quest’anno in Champions, visto che nelle sfide con Napoli e Inter non ha mai potuto contare sui nuovi acquisti, a cominciare dal più atteso e più pagato, De Ketelaere.
I cinquanta milioni messi disposizione da Cardinale un anno fa sono stati spesi malissimo e questa è una chiara colpa del responsabile dell’area tecnica, da aggiungere a quella di avere perso senza incassare nemmeno un euro i vari Donnarumma, Calhanoglu, Kessie e Romagnoli. Quanto basta per capire che come viene esonerato un allenatore se non ottiene i risultati, allo stesso modo può essere esonerato un manager se sbaglia e per di più non è in sintonia con la proprietà perché chiede sempre più autonomia.
Inutile scandalizzarsi, quindi, visto che è tutto chiaro, anche se il difficile per Cardinale e il suo nuovo Milan incomincia adesso. Il calcio, infatti, è un mondo completamene diverso rispetto alle altre realtà industriali, specialmente di quelle geograficamente lontane dalle nostre, per cui saranno fondamentali le competenze specifiche. In questo senso, come ormai hanno capito tutti, il francese Geoffrey Moncada, dal 2018 capo dello “scouting” del Milan, che tra l’altro ha scoperto Mbappè e scelto Maignan come sostituto di Donnarumma, avrà più poteri e con lui collaborerà l’amministratore delegato Giorgio Furlani, che rispetto a Ivan Gazidis ha il vantaggio di essere italiano e milanista. L’idea è quella di un gruppo di lavoro in cui tutti remano nella stessa direzione, con un ruolo ancora più importante per Pioli, che potrà esprimere un parere sugli acquisti senza essere invitato, più o meno gentilmente, come è accaduto nell’ultima stagione, a schierare i nuovi giocatori per dimostrare che chi li aveva scelti non si era sbagliato. E proprio perché la campagna acquisti di un anno fa ha indebolito la squadra, non sarà semplice adesso trovare rinforzi veri in tutti i reparti.
E’ questa la più urgente sfida del dopo-Maldini, cui ne seguirà una ancora più importante e difficile. Perché Cardinale, oltre al sacrosanto diritto di scegliere i suoi collaboratori, ha anche il dovere di costruire un Milan competitivo in Italia e in Europa, che non si accontenti di arrivare in semifinale di Champions e quarto in campionato, tra l’altro grazie alla penalizzazione della Juventus come quest’anno. E soltanto se ci riuscirà avrà completato la sua missione.