Giustizia sportiva frettolosa, ma Gravina se la prende con i facinorosi. E come nel 2006 paga sempre la Juve
Un’avversione – la mia - che parte dal 2006, quando ancora Gravina non c’era e i burocrati di via Allegri si inventarono “il più grande scandalo del calcio italiano” mettendo insieme qualche intercettazione e, con quelle, massacrarono una società (la Juventus), ne colpirono di striscio qualche altra e risparmiarono solo un club. Sul quale uscirono in seguito tabulati telefonici molto più compromettenti di tutti quelli che riguardavano le altre squadre, ma anziché riaprire il processo - come prevede il cds - si optò per la prescrizione. Più che uno scandalo fu – parere personale - una gigantesca truffa.
Un copione riproposto, in parte, 17 anni dopo contro la solita società (la Juventus), denigrata sui social persino da alcuni membri del CONI, nella totale indifferenza del presidente Malagò. Anche stavolta, per incastrarla, sono bastate qualche dozzina di intercettazioni, formulando sulla base di quelle la sentenza. Risultato: penalizzazione in campionato e patteggiamento del club con pagamento di maxi multa da 700mila euro, onde evitare guai peggiori (retrocessione compresa). Salvo poi registrare, da parte della giustizia ordinaria, la successiva archiviazione dei capi d’accusa riguardanti plusvalenze e false fatturazioni, e ascoltare candidamente ammettere dal DG del Sassuolo Carnevali che le partnership tra club sono normali ed esistono da sempre.
Il presidente Gravina ritiene che questa vicenda sia stata volutamente strumentalizzata da gruppi di facinorosi (quali?) per colpire la Federazione, e se l’è presa pure con chi – e il sottoscritto è uno di questi – gli contesta, in 5 anni di mandato, di non avere mai messo mano alla riforma della giustizia sportiva. Ritiene infatti di avere già agito in questo senso nel 2019, quando venne inserita la perentorietà dei termini d’indagine e di giudizio. In pratica, quando si velocizzarono ulteriormente le procedure. L’ennesimo intervento inutile e dannoso, perché se c’è un aspetto che viene contestato al modus operandi della giustizia sportiva è proprio la fretta. Quella che obbliga i giudici a decidere in tempi ristretti sulla base degli indizi raccolti dalla procura federale, senza consentire l’istituzione di un giusto processo (come sancisce la Costituzione), e non permettendo agli imputati di difendersi, portando in dibattimento prove a propria discolpa. Com’era già capitato nel 2006, e com’è ricapitato stavolta.
Eppoi, cosa intende Gravina per “tempi ristretti”? Gli oltre 4 mesi impiegati per formulare una sentenza definitiva sul caso Juve, dopo aver scombussolato l’intera stagione di una squadra, dandole prima 15 punti di penalità, poi togliendoglieli e poi ridandogliene 10? Alla faccia della velocità! Insistere sulla “perentorietà” (ovvero, su sentenze non procrastinabili) significa non avere ancora capito nulla di cosa si intenda come vera riforma della giustizia sportiva. Quella messa da Gravina nel 2019 è stata una toppa peggiore del buco, andarne pure fieri non fa che aumentare l’incazzatura dei facinorosi.