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Giù le mani da Roberto Benigni, il suo 'Cantico' è un capolavoro
Ieri il picco massimo è stato registrato nel corso dei quaranta minuti in cui Roberto Benigni prima ha duettato con il conduttore e poi si è preso il palco, catturando platea e loggione, dando vita ad una performance attoriale, ma non solo, di grande valore e di eccezionale contenuto. Una “canzone recitata” su un testo antico di duemila e duecento anni dichiaratamente ”apocrifo” rispetto ai canoni tradizionali suggeriti dalla religione. Un colpo non di teatro ma di arte e di pedagogia umanistica che ha certamente spiazzato tutti coloro i quali immaginavano di poter applaudire il “vecchio” guitto, provocatore e polemista, che lanciava frecciate contro il Potere o che agguantava gli zebedei di Pippo Baudo.
Da molti anni ormai Roberto Benigni non è più quel tipo comico, comunque irriverente e pungente, per la serie ”attenti al buffone”. Certamente il suo lungo monologo che “non faceva ridere” ma, semmai, riflettere e meditare sulle storture di questo mondo non è riuscito a fare ricordare ai suoi critici di ieri il “nuovo” (ma neppure troppo) Benigni che entusiasma e commuove intere piazze con le letture e le interpretazioni geniali della Commedia dantesca.
Con lui ci eravamo lasciati ascoltandolo recitare l’ultima quartina del Paradiso: “L’amore che muove il sole e le altre stelle”.
Un amore sublime, unico e impalpabile. Ebbene, ieri sera Benigni si è spinto oltre. Con la sua interpretazione laica del “Cantico dei Cantici” ci ha ricordato come e quanto l’Amore terreno e carnale abbia un valore non del tutto diverso e non inferiore da quello platonico. La comunione dei corpi, senza censure, che esalta e completa quella delle anime. E chi si è sentito infastidito o profanato è soltanto perché ha scordato che Roberto Benigni è un autore da Oscar. Insomma, da capolavori. Anche quando e se non fa ridere.