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  • Giovinco scaccia l'ombra di Del Piero

    Giovinco scaccia l'ombra di Del Piero

    "Top player? Storia poco interessante, non sento la pressione".
    Giovinco cancella l'ombra di Del Piero.
    Il Top della Juve può essere a un metro e 64 di altezza anche se Sebastian Giovinco non lascia neppure appiccicare l’etichetta: «Top player? Non mi interessa sorride - a questa storia non ci ho mai pensato, e non lo faccio certo adesso che ho segnato due gol». Troppe gliene hanno messe, di etichette in questi anni, facendo crescere le attese e la pressione, perché «sì, la maglia della Juve è tutt’altra cosa, ma già lo sapevo». Perché il Top puoi anche averlo nel cortile di casa, Torino, dov’è nato, e coltivarlo nelle giovanili per una vita, solo che non te ne accorgi.

    Oppure è vero che bisogna un po’ emigrare per diventare grandi: nemo top in patria. «È cambiato tutto quando sono andato a Parma, dove ho acquistato continuità», confessa. E’ stato un pomeriggio continuo pure quello di ieri, a Udine: più alto dei giganti, se tra Brkic e Danilo la piglia lui, di testa; più rapido del branco, da opportunista; poi freddo e spietato, con il rasoterra. Tutti ferri del mestiere d’attaccante, finalmente. Non bastasse la pressione dell’attesa, stavolta ci si era messo anche il cartellino del prezzo: 11 milioni al Parma, per riprenderne la metà.

    Del resto, 15 gol in serie A, la raffica sparata in Emilia, hanno il loro prezzo. Categoria Top player, se lo scontrino virtuale s’eleva a 22 milioni. Non era stato un grande inizio: cambiato dopo un tempo a Pechino, finale di Supercoppa; così così all’esordio davanti alla nuova arena, rimasta orfana di Del Piero, l’ombra che lo pedina, da sempre. Servivano i gol, il cibo delle punte, inutili altre chiacchiere. «La voglia di farli c’è sempre, è normale, a maggior ragione se giochi con la Juve. Ma era importante vincere, dare un segnale. E penso che la squadra lo abbia fatto». Anche lui.

    Ne aveva bisogno, e forse ne aveva bisogno pure Antonio Conte, che ha puntato su di lui. Appena disponibile, sempre titolare, fin dall’estate: «Non ero sorpreso - continua Giovinco semmai mi ha fatto piacere, e volevo ripagare la fiducia». Che il tecnico ha sempre avuto, in fondo, se pure un anno fa al piccolo Sebastian fece più di un pensiero: troppo tardi, era già stato imbucato per Parma. La sua fortuna, chissà. Lì ha smesso di essere piccolo, tanto da cambiare l’esultanza brevettata negli anni: a ogni gol allargava il palmo della mano e se lo portava alla testa. Come dire: visto che l’altezza non conta? Era stufo di sentire la solita storia. Roba vecchia, ormai.

    «Non esulto più così, non mi andava più. A Parma ho finito di farla». Ora la gran serata è arrivata con la maglia giusta, ma calma, dice: «Era importante fare bene, e poi siamo sulla stessa barca. Chi gioca e chi no». Ehi, e come la mettiamo con la pressione? «Quello è sempre stato scritto, ma io sono arrivato qui zitto e calmo». Eppure il barometro l’hanno letto anche altri: «Siamo contenti per Giovinco - sorride l’ad Beppe Marotta - la scorsa stagione ha dimostrato di essere importante e ora sente un po’ la pressione della nuova squadra. Ma con Conte può trovare la continuità». I colpi li ha sempre avuti, mostrati a tratti, o le poche volte che il sipario s’alzava. Come quella notte di Champions a Minsk, contro il Bate Borisov, dove evitò il disastro con due assist da fenomeno. O il 7 dicembre 2008, in un duello a mezzogiorno, saloon di Lecce: gol vincente, su punizione alla Del Piero, ovviamente, ed esultanza saltando in braccio a Marchisio, il compagno di un decennio made in Juve.Ben più amara si rivelò l’ultima gioia, 31 ottobre 2009, nella sconfitta casalinga con il Napoli. Di lì a pochi mesi sarebbe emigrato sulla via Emilia, servendosi la fredda vendetta: pugnalata la Juve, tre volte in due partite. Il Top. Anche per questo, dopo una vita, si sono decisi a chiedergli repliche.


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