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    Gioco, comportamenti e parole: cosa è cambiato da Mourinho a De Rossi

    Gioco, comportamenti e parole: cosa è cambiato da Mourinho a De Rossi

    • Alessandro Austini
    Prima di inaugurare ufficialmente la sua seconda vita da romanista, Daniele De Rossi ha avuto quattro allenamenti a disposizione per provare a trasformare la squadra difettosa e sfiduciata che si è ritrovato all’improvviso tra le mani. L’occasione della vita, certo, ma anche una missione praticamente impossibile. Vincere con il Verona era la cosa più importante ed è successa, ma è giusto concentrarsi sul “come” per capire quanto l’effetto DDR abbia inciso in così poco tempo.

    Gioco, comportamenti e parole. Il tentativo di svolta è racchiuso in tre concetti. Il cambiamento più evidente è nel modulo e in un’idea tattica che resta tutta da sviluppare. De Rossi ha ridisegnato la difesa con quattro uomini - che come ha spiegato il tecnico fa guadagnare un uomo davanti - ma ha soprattutto alzato la linea molto più vicino al centrocampo di quanto non accadesse con Mourinho, quando il primo obiettivo era non prenderle e se si andava in vantaggio il resto della partita diventava sistematicamente la difesa di un fortino. Con ogni mezzo. 

    La nuova Roma ha più voglia di scoprire così ci sia nella metà campo avversaria, di lanciarsi in quegli spazi con le verticalizzazioni a interrompere un possesso palla comunque controllato, vedi l’incursione iniziale del rigenerato Karsdorp e le azioni dei due gol. La squadra ha pensato più a giocare che a lottare. Più concentrata e ordinata, meno nervosa, almeno fino a quando ha avuto la sensazione di controllare la partita.

    Poi sono via via comparsi i limiti, che non possono essere cancellati in quattro allenamenti. Carenze tecniche e mentali, Dybala dipendenza, infortuni. Neppure De Rossi è Harry Potter e i problemi sono ancora lì, a farci capire il perché di una classifica tutta da scalare. “Nel secondo tempo abbiamo continuato a fare le stesse cose ma se inizi a girare il pallone più piano ormai tutte le squadre ti ammazzano” ha sintetizzato De Rossi dopo la partita. La Roma ha perso coraggio e fiducia in quello che stava facendo e non può essere un caso che sia accaduto dopo il “solito” cambio forzato di Dybala. Non che nel primo tempo l’argentino avesse combinato chissà che, ma i compagni quando lo vedono uscire si sentono smarriti e chi entra al suo posto è come se dovesse portare una croce sulle spalle.

    Stavolta è toccato a Zalewski, nel ruolo dove giocava nelle giovanili, con risultati mediocri. Peggio di lui è andato Belotti e nel frattempo si è fermato anche Spinazzola, a proposito di giocatori con la “storia clinica” particolare. L’emergenza continua, anche se all’orizzonte si materializzano i rientri di Smalling, Ndicka, Kumbulla, Aouar, Azmoun e, hai visto mai, di Renato Sanches.

    In una serata tanto strana quanto storica, con i tifosi allo stadio divisi tra il lutto calcistico per l’addio di Mourinho e l’emozione per il ritorno a casa di una bandiera, il destino del calcio ha deciso di dare una chance a questa nuova Roma, cancellando un rigore e un gol del Verona.

    Qualcosa, però, è già cambiato in modo netto e si è visto al termine della gara. Il modo in cui De Rossi parla e i concetti che prova a trasmettere dentro e fuori Trigoria sono opposti a quelli utilizzati da Mourinho. Siamo passati dall’ascoltare che tutte le avversarie per la Champions “hanno più giocatori di noi” a “siamo forti e questa squadra anche senza Dybala deve vincere con il Verona e stare più in alto del nono posto”. 

    Lo sport professionistico non può prescindere dalla cura degli aspetti mentali. De Rossi, che in questi anni si è messo a studiare parecchio, ha iniziato proprio da lì. Meritandosi il primo aiutino che gli ha fornito il destino del calcio.
     

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