Ghirelli a CM: 'La Serie C salva i ragazzi da violenza e droga: va salvaguardata. Il sistema è al collasso: servono riforme condivise. Sul taglio delle squadre...'
Qual è il reale stato di salute della Serie C?
''C'è una situazione economica pesante per i club: noi siamo stati il primo campionato professionistico ad essersi fermato. Abbiamo prima interrotto al nord a febbraio, poi anche al sud a marzo: da quel momento non entra un euro nelle casse delle società, perché le nostre risorse sono determinate principalmente da due voci: il botteghino, e sappiamo che gli stadi sono chiusi, e le sponsorizzazioni. Il problema, in questo secondo caso, è che le aziende dei presidenti stanno vivendo il nostro stesso dramma. Non solo, perché non si deve solo far fronte ad una perdita così netta, ma anche ad un aumento rilevante dei costi dettati dalle spese per il rispetto del protocollo sanitario: e quindi tamponi con cadenza settimanale per tutto il gruppo squadra, maggiori costi per le trasferte e, dove necessario, per l'isolamento dei gruppi''.
I presidenti dei club si trovano quindi in una situazione molto complicata...
''Assolutamente sì. Sono tutti imprenditori che devono fronteggiare la crisi delle proprie aziende: come gli si può chiedere di anteporre il bene del club a quello dell'impresa che offre il sostentamento alla famiglia? Se si troveranno costretti a scegliere, tutti quanti, e giustamente, farebbero il possibile per salvare l'azienda. Il calcio rappresenta un surplus e come ogni cosa non di prima necessità rischia tanto in fasi come questa''.
Non crede che le istituzioni governative dovrebbero fare qualcosa di più per sostenere il vostro movimento? ''La Serie C è stretta in una morsa: da un lato c'è la Serie A, il calcio d'élite, mentre dall'altro il mondo dilettantistico. Noi occupiamo una zona grigia che sta nella falda tra i professionisti e gli amatori e anche per questo ci siamo uniti con le Leghe di Basket, Pallavolo (maschile e femminile) e parte dell'Atletica per cercare di dare un segnale forte. Il nostro obiettivo è quello di far comprendere che c'è un grande numero di società in bilico. E parliamo di realtà che hanno uno strettissimo rapporto con il territorio: assicurano occupazione e garantiscono una difesa di valori sociali importanti. Quando i ragazzi vanno al campo ad allenarsi non gli si insegna solo il calcio: li si toglie dalla strada, da mondi di violenza e droga. Se crolla questo mondo si corre un forte rischio sociale prima di tutto: per questo chiediamo che il patrimonio rappresentato dalla Serie C venga salvaguardato''.
E il tempo per agire non è poi così tanto...
''Se nel giro di poco tempo non dovessero arrivare risorse finanziarie per lenire i costi relativi alle spese sanitarie e degli sgravi fiscali diventerà difficile mantenere in equilibrio il sistema. E badi bene, quando parlo di sgravi fiscali non intendo spostare le date avanti di qualche mese: serve una riforma più strutturata, che permetta alle società di rientrare nel giro di anni. La Serie C in questo momento ha bisogno di liquidità''.
Il taglio del numero delle squadre, da molti invocato, può rappresentare una reale soluzione? ''Le dico questo: l'unica autoriforma relativa alla riduzione delle squadre professionistiche dal dopoguerra è stata fatta proprio dalla Serie C, che nel 2011-12 ha ridotto da 90 a 60 le società, passando dalla classica suddivisione in C1 e C2 alla C unica. Ora le chiedo: questo ha forse risolto i nostri problemi? No. All'epoca abbiamo fatto un'operazione illuminata, ma è stata una riforma portata avanti in totale autonomia: qui si nasconde il vero problema. Il nostro calcio ha bisogno di ragionare di sistema, capire qual è la mission dei vari campionati e dare vita ad un progetto sostenibile che parta da fondamenta stabili e condivise. Prima bisogna pensare alle regole, poi si potrà anche valutare una riduzione delle squadre perché il taglio, da solo, non rappresenta una soluzione ai nostri problemi''.
E i rischi connessi ad un eventuale crollo del sistema sono tanti...
''Noi siamo il calcio dei giovani e del territorio: abbiamo bisogno di strutture, di maestri. In Italia si considerano ragazzini tutti quelli che non hanno almeno 24 o 25 anni, mentre in Europa si gioca e si vince con i giovani. Mancini sta provando a cambiare questa tendenza e guardate che risultati sta ottenendo: noi vogliamo fare lo stesso. Non possiamo lasciar morire la Serie C, di questo calcio avremo bisogno soprattutto dopo il Covid. La pandemia sta lasciando delle ferite profonde nei nostri ragazzi, che non possono andare a scuola, non possono uscire e giocare. Questi rischiano di trasformarsi in segni indelebili per i giovani, perché sono nel momento in cui i loro carattere si forma: ecco perché ci sarà bisogno del nostro calcio. Il pallone può aiutare il paese a guarire e a ricucire quelle ferite profonde e invisibili: può essere l'elemento di ripresa sociale e valoriale. Se crolla questa parte di calcio il sistema diventa più povero, ma io spero che potremo dare una mano all'Italia per uscire da questo incubo''.