Genoa-Marchetti:| Ma in porta vola Eduardo
Tutta la vita in un balzo. È la storia di Eduardo dos Reis Carvalho. Ed è anche la storia di Federico Marchetti. Linee tortuose, quelle da cui si legge il destino, sui palmi delle mani infilate nei guantoni.
Li reindossa, dopo 9 mesi di liti con il Cagliari, cause per mobbing e allenamenti solitari, il portiere che ha difeso i pali azzurri nella sventurata missione in Sudafrica. Da allora, niente più partite. Oggi, il ritorno, prima convocazione stagionale. «Mi mancava il calcio giocato». E Roberto Donadoni: «Per Federico è una tappa importante di riavvicinamento alla serie A. Sappiamo quanta voglia ha di giocare, sia io che i suoi compagni. Averlo di nuovo con noi ci fa molto piacere». Succede al Ferraris, lo stadio che a gennaio è stato vicino a diventare suo. Massimo Cellino ed Enrico Preziosi raggiungono un’intesa di massima, poi tra richieste d’ingaggio, di durata del contratto e di ambizioni d’altri lidi, Marchetti rimane in Sardegna. E a Genova rimane Eduardo, il quale invece aveva vissuto da protagonista il Mondiale sudafricano. Quindi, nel Grifone, bassi e alti, il precipizio di errori che lo mandano verso la cessione e la sudata arrampicata per rinascere, la possibilità di guadagnarsi in 8 partite la conferma per la prossima stagione. Gare da giocare come a Cagliari, aveva fatto miracoli. «Ho bei ricordi dell’andata. Umiltà, determinazione, concentrazione, sono le prerogative da non tradire. Questi tre punti sono fondamentali, per continuare a scalare la classifica. E restare sul pezzo».
Un altro pezzo di vita calcistica, in un balzo. Per due uomini che dalla vita e basta, dalla vita tutta, sono stati messi a dura prova. Eduardo, questo pomeriggio, con il suo rosario e la preghiera consueta, pensando ai guantoni “dal cielo”. Marchetti, questo pomeriggio, di nuovo con la divisa ufficiale del Cagliari, maniche corte da cui spuntano due tatuaggi: «Andrea e Francy with me forever», sul braccio sinistro; una preghiera dell’Avesta, il testo sacro zarathustriano, sul destro. «L’equivalente della nostra Ave Maria». Il primo dedicato ai migliori amici, Andrea Tagliaferri e Francesco Varrenti, portati via da due incidenti stradali. Il secondo come «ringraziamento per sempre» per essere uscito illeso da un altro scontro automobilistico: «Ricordo le fiamme e le lamiere, ho visto la morte in faccia. Ma nel buio ho avuto un abbaglio, la madonna era lì con noi e ci ha salvati». Il fato ha risparmiato anche Eduardo, quando era bambino, in uno schianto sull’asfalto. Tutta la vita in quel balzo fuori dal finestrino, mentre la morte gli ruba il padre. Famiglia povera, andavano a comprare i primi guantoni per “Edu”. Desiderio spezzato. Così, quando aveva dieci anni, un suo allenatore gliene regalò un paio: «Pensa che te li ha mandati tuo padre dal cielo». Lo pensa a ogni partita, stringendo il rosario donato dalla madre.
Strade maledette, per Eduardo e Marchetti. E strade, percorsi umani, per certi versi simili. Fino all’incrocio sfiorato a gennaio e all’incontro di oggi. Entrambi con i dolori del passato sempre nel petto, insieme alla fede. Il lusitano: «Sono molto devoto, anche per questo ho sempre con me il rosario di mia madre». E il portiere di Bassano del Grappa: «Sono credente, ma non collego tanto il lavoro che faccio con la spiritualità. Il calcio alla fine è solo un gioco». La vita, troppo spesso, no.