Gasperini attacca: 'Se l’Inter non credeva nel mio gioco, perché mi ha scelto?'
ERA LA NOTTE dell’8 novembre, era un anno fa, era il Genoa che esonerava Gian Piero Gasperini dopo una sconfitta a Palermo, 5 anni di tante liti, molti alti e pochi momenti bassi. Era passato da poco il giorno dei morti (2 novembre), ma l’allenatore di Grugliasco credeva già nella liberazione della Pasqua di Resurrezione. Gli facevi le condoglianze? Lui, con un sms, rispondeva: «Non sono mica morto, chiama quando vuoi».
Stavolta no, questa è un’altra storia. «Questo è proprio un brutto momento». Le lacrime e poi anche un herpes sul viso. Su quello non sbagli, anche i più ostinati antiGasp non potranno pensare si tratti di finzione: quello è il semaforo rosso di uno stress iniziato presto, una manciata di settimane dopo il 24 giugno, giorno della firma su un contratto che avrebbe dovuto legarlo all’Inter fino al giugno 2013. Risoluzione consensuale, significa che potrà tornare ad allenare, «all’estero», perché è il primo giorno d’autunno e Gasp non ha voglia di mettersi in vacanza. Eccoci, questa non è la storia di Gasperini l’Incompreso, anche se lui, a caldo, dirà: «Evidentemente il mio gioco non è stato capito». Forse, ma c’è dell’altro: incomprensibile è tutta la storia. Non lo capisci quando Gasp lascia la Pinetina. Dettaglio, lo fa con la sua Audi bianca, la Volvo “targata” Inter si è già polverizzata, puf. Gasperini frena, tira giù il finestrino: «I risultati determinano tutto. C’è grande rammarico da parte della squadra e della società e certo anche da parte mia».
Non dice altro Gasperini, per tutta una serie di motivi. Uno: non puoi far polemica se hai fatto 1 punto in quattro gare ufficiali. Due: non devi farlo se i risultati parlano di un fallimento. Tre: fai bene a non battibeccare con la dirigenza nerazzurra, se meno di sei mesi fa l’esonero dal Genoa si è trascinato dietro troppe polemiche. Quattro: non ti conviene farlo se hai ancora un contratto di due anni con l’Inter a circa 1,2 milioni a stagione. Sono più punti di quelli raccolti sul campo.
Però se Gasperini potesse ripeterebbe in pubblico quello che dice agli amici. Quello che ha ripetuto in questa in-com-pren-si-bi-le estate calda. Direbbe: «Il presidente Moratti è e resta un uomo eccezionale. E lo sono anche i giocatori. Ve ne dico uno? Sneijder è un uomo eccezionale, è venuto a salutarmi, so io cosa ci siamo detti. Non erano questi i problemi. Io credevo che le cose si sarebbero mosse. So che il mercato ha dei tempi, delle esigenze, che prima bisognava vendere alcuni giocatori. Per motivi di bilancio? Per scelte tecniche? Non era questo il punto, non c’erano divergenze, io faccio le mie scelte, ma rispetto i ruoli della società. Certo, per vendere Eto’o è stato impiegato molto tempo, più di un mese e questo è stato uno stillicidio, si sapeva che con quelle cifre in ballo non poteva finire in altro modo. Però speravo che ceduto Eto’o si sarebbe anche fatto altro. Non ho mai avuto preclusioni verso nessuno, il rapporto con la squadra, con i giocatori è sempre stato e resta eccezionale. Sono campioni, non solo in campo, nessuno mi ha tradito, non diciamo stronzate. Certo, dopo il ritiro, quando sono tornati tutti dalla Coppa America, dopo i primi test ho cercato di capire, ho fatto delle scelte. Sneijder? Un campione, ma io non gioco con il trequartista e allora ho provato a farlo scendere, play-basso, poi più alto, più vicino alla porta, le ho provate tutte. Non funzionava. Pandev? Ha grandi qualità, mi sono sempre piaciute, ma a me serviva un attaccante che giocasse largo, meglio a sinistra, in quel ruolo lui non poteva adattarsi. Ceduto Eto’o io avrei voluto due giocatori, due di numero: Lavezzi e Palacio. Non si poteva spendere? Ok, ma si poteva cedere Sneijder, Pandev (che invece è stato “regalato” al Napoli) e oltre a Santon, pure Mariga e Muntari. Con due esterni d’attacco, con Milito e Pazzini al centro, non c’erano problemi: giocavano 30 partite ciascuno, tra campionato, Champions e Coppa Italia. Invece è arrivato Forlan, altro campione, pure lui in campo e fuori. Ho pensato di farlo giocare largo a sinistra e da quella parte poteva partire anche Sneijder. Già, alla fine qualcuno doveva restare fuori, comunque. Mi sono affidato troppo a Zanetti e Cambiasso? Non credo, ma questi erano gli uomini che avevo a disposizione. Non c’entra la difesa a tre, non c’entra la storia di Pazzini o Milito.
Il vero problema era a centrocampo. In mezzo i problemi li ho visti subito, questione di carta d’identità, giocatori con qualità straordinarie, ma provati da tante battaglie. Mi sono anche chiesto: perché comprare Kucka per lasciarlo al Genoa? Lui ha quelle caratteristiche di “fisicità” che non sono certo simili a quelle che ha Poli. Io sapevo, so, che i risultati determinano tutto. L’Inter sapeva che il mio modulo è il 3-4-3. Non è che non ne conosca altri, ma credo che con questo le squadre che alleno riescano a dare il gioco migliore. Che pensavo di giocare così lo hanno visto tutti, ma non bastava, non sono così presuntuoso. L’ho spiegato quando ho parlato, tre volte, con i dirigenti dell’Inter. Per questo, ho sostenuto che le polemiche sul modulo erano pretestuose». Questo ha confidato Gasperini nella sua estate da interista. Questo vorrebbe dire oggi. Aggiungendo una sola frase, che poi è la sintesi di tutto: «Se l’Inter non credeva nel mio gioco, perché mi ha scelto?».