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    Garrincha, 90 anni fa: è grazie al re del dribbling che amiamo il calcio

    Garrincha, 90 anni fa: è grazie al re del dribbling che amiamo il calcio

    • Alessandro Bassi
      Alessandro Bassi
    Se si ritiene che giocare a calcio, e anche solo guardare giocare a calcio, sia divertente, c'è stato un calciatore che forse più di tutti gli altri si è divertito e ha fatto divertire chi lo ha visto giocare: quel giocatore è stato Garrincha, funambolo del pallone suo malgrado, un personaggio da romanzo, figuriamoci un calciatore.

    ALEGRIA DO POVO - Ha divertito la sua generazione, tutti quei fortunati che lo hanno potuto vedere su un terreno di gioco. Eppure Garrincha del calciatore non aveva proprio nulla. Non aveva la testa, anarchico e gaudente viveva per lo spettacolo, per la gioia sua e del pubblico. Soprattutto Garrincha viveva per il dribbling, che è l'esternazione più immediata della gioia di giocare a calcio. Dribbling, contro dribbling, finte, tunnel, rabone, elastici ne faceva a decine ad ogni partita, non tanto per irridere gli avversari – che ne uscivano ammaccati nell'orgoglio e gonfi di ammirazione – piuttosto per un bisogno insaziabile di bersi la felicità a grandi sorsate, lui che al bere non diceva mai no. 
    Nato da padre alcolizzato a Pau Grande sul finire di ottobre del 1933, il piccolo Manoel, malnutrito e forse affetto da poliomielite già da bambino beve e fuma. Certo, all'alcool lo aveva avviato la famiglia che come cura ai guai fisici gli faceva bere frequentemente una mistura a base di cachaça, un'acquavite che in breve tempo diventerà fedele compagna nella vita di Garrincha. In verità lui ammalato lo era sul serio. Garrincha aveva un corpo esattamente contrario a quello di un atleta e per i medici mai avrebbe potuto giocare a calcio. Spina dorsale deformata, bacino sbilanciato, 6 centimetri di lunghezza di differenza tra una gamba e l'altra, ginocchio destro affetto da varismo e quello sinistro da valgismo. Ah, è anche strabico eppure in campo ci vede benissimo: semmai sono gli avversari che fanno fatica a vederlo e a capirne le giocate, le sue sterzate improvvise, senza logica se non quella dell'emozione pura.
    Innumerevoli gli aneddoti, debitamente raccontati un po' da chiunque abbia scritto su di lui. Amichevole o Coppa del mondo non faceva differenza, per Mané c'era solo il puro divertimento del dribbling, della giocata ad effetto. Di quando fece venire il mal di testa a Robotti in un'amichevole che il Brasile giocò contro la Fiorentina in preparazione della Coppa del mondo del 1958, o di quando in tre minuti – i primi 180 secondi dell'incontro – in quello stesso mondiale contro l'URSS, irriso più volte il difensore, colpì una traversa, impegnò Jascin e fece l'assist per l'1 a 0 di Vavà. Sul punto davvero impressionante la cronaca di quei tre minuti del giornalista brasiliano Ney Bianchi riportata da Luciano Sartirana nel suo bellissimo “Nel settimo creò il Maracanã”.
    È rimasto – e tale resterà sino alla morte – quel bambino di dieci anni che da selvaggio nuotava nei torrenti e dava la caccia ai passeri. Piaceva ed entusiasmava Garrincha e lo farà per tutto il tempo che avrà quel briciolo di lucidità per restare su di un campo da calcio. Era allegria, per sé e per il popolo e proprio alegria do povo era uno dei suoi soprannomi.
    Piaceva il futebol a Garrincha, ma gli piaceva anche tanto altro. 

    TRA ALCOOL E SOTTANE - Perché se il dribbling era il vizio di Garrincha che entusiasmava il popolo, il ragazzo era innamorato anche di alcool, fumo e donne. Tutta la sua breve vita è stata un inno all'amore e alla bottiglia. A diciannove anni si sposa dopo aver messo incinta una collega di lavoro, ma contemporaneamente ha anche un'amante stabile: con la moglie avrà otto figli, con l'amante due. Alla fine della sua breve vita i figli in totale saranno 14, tra cui uno avuto nell'estate del '58 durante la Coppa del mondo con una diciassettenne svedese.
    Nel 1962 lascia moglie, figli e amante e nello scandalo generale si unisce alla diva della canzone popolare brasiliana Elza Soares, che è ella stessa un manifesto di vita oltre le righe. Nata in una favela di Rio de Janeiro, a 12 anni viene costretta dal padre a sposare un uomo violento che abuserà di lei e con il quale avrà sette figli prima di restare vedova. Nel 1962 è ormai artista affermata, è uscito il suo secondo album ed al seguito della Seleção in Cile alla Coppa del mondo  conosce Garrincha. 
    È amore travolgente e la storia d'amore tra Garrincha e Soares – tra voli arditi e cadute precipitose – durerà per una ventina di anni, sino a quando la luce di Manè non si spegnerà per sempre, vinto dalla cirrosi.

    LA SERA DI MANE' - E la luce si spegne quando Mané non ha ancora compiuto 50 anni, all'alba del 1983. Prima, però, c'è l'addio al calcio, dopo il fallimentare mondiale inglese del 1966. Elza e Mané lasciano il Brasile per cercare una nuova vita in Italia. Lei canta, lui tenta di lavorare come uomo immagine dell'Istituto Brasiliano del Caffè, ma dura poco. L'amico Da Costa, ex calciatore con notevole carriera spesa in Italia, lo aiuta facendogli ottenere un ingaggio a gettone a Sacrofano, tra i dilettanti, nella profonda provincia laziale. Diverte, incanta, dribbla e segna. Però beve, beve parecchio. Non concluderà la stagione. Elza e Mané resteranno ancora in Italia per un po', poi rientrano in Brasile per consumare la fine dei loro sogni, annegati nell'alcool, nella violenza e nella depressione dell'ormai ex campione. La loro storia d'amore finisce, la carriera di Garrincha era finita già da tempo.
    Mané resta solo con la sua bottiglia, senza un soldo, si indebita per bere e da quel circolo vizioso non ne uscirà più.
    Muore solitario e dimenticato, divorato dall'alcool in una corsia di ospedale la notte del 20 gennaio del 1983, una settimana dopo aver inaugurato una scuola calcio per bambini poveri. La notizia fa il giro del mondo, invade televisioni, radio e giornali: il Garrincha che aveva fatto battere il cuore ad un'intera generazione con le sue magie in un campo di futebol vola per un'ultima volta. Il Maracanã diventa una livida e commossa camera ardente, un popolo intero, quel popolo che sta uscendo dalla dittatura, lo accompagna nell'ultimo viaggio sino al cimitero di Pau Grande, nel villaggio dove tutto era iniziato appena cinquantanni prima.

    Toccanti le parole che lo scrittore Carlos Drummond de Andrade scrive sul Jornal do Brasil e che Sartirana riporta nel suo libro:

    Se esiste un dio cui fa capo il calcio, questo dio è soprattutto ironico e farsesco; e Garrincha è stato uno dei suoi incaricati per prendere in giro tutto e tutti negli stadi. Ma, poiché è anche un dio crudele, ha tolto allo splendido Mané la facoltà di comprendere la sua condizione di agente del
    divino. Garrincha è stato un povero piccolo mortale che ha aiutato un intero Paese a sublimare le sue tristezze
    ”.
     

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