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Gambarotta: 'Toro, Cairo non più padre padrone. È un bene'
Scrittore, giornalista, autore e presentatore televisivo, e più in generale arguto e ironico piemontese d'altri tempi (nessun riferimento alle 78 primavere sulle spalle): Bruno Gambarotta è un volto noto, e anche un uomo che non ha mai fatto mistero del colore del suo cuore: granata. Così come, in passato, è stato parecchio critico nei confronti di Urbano Cairo; ora che il Toro ha raggiunto risultati importanti, vogliamo chiedergli se le sue posizioni sono rimaste invariate o meno.
Bruno Gambarotta, pochi giorni fa Cairo ha detto “non voglio essere il protagonista, non più, i meriti vadano a Ventura e alla squadra”: lei in passato lo aveva proprio definito “padre padrone”, nevvero? Oh sì, l'ho fatto! Mi sembrava una metafora azzeccata: all'epoca, faceva e disfava in assoluta autonomia, senza render conto a nessuno. Intendiamoci: i soldi sono ed erano suoi, aveva e ha pieno diritto di farlo. Ma se fa, e non fa bene, noi abbiamo diritto e quasi dovere di dirlo: il modo in cui licenziava e richiamava gli allenatori non era un bel comportamento.
Diceva anche – e a onor del vero era opinione diffusa – che avrebbe dovuto imparare a delegare.
Vero, e sono lieto di prender atto che alla fine abbia deciso di farlo. Non sono dentro gli uffici del Torino, ma mi sembra evidente come abbia lasciato che Petrachi potesse fare il proprio lavoro, e così Ventura; e i risultati si sono visti!
Oggi i ragazzi in campo sanno cosa sia il Toro, a differenza di quanto lamentava tempo addietro?
Sembrano davvero ragazzi del Toro. Anche quelli che non lo sono, cioè quasi tutti, in realtà... Probabilmente in parte perché in società è entrato qualche vecchio cuore granata, come Giacomino Ferri e oltre ad Antonio Comi che già c'era; e poi per merito dei tifosi. E della società, ma in senso indiretto.
Ossia...?
Ossia, grazie alla continuità tecnica. Ogni cosa ha una conseguenza positiva, se ben fatta, sulla successiva: Cairo non fa più il padre padrone, da qui ecco il Cairo che delega, da qui ecco che il direttore sportivo può lavorare e portare dei buoni giocatori, da qui ecco l'allenatore che viene confermato per molti anni, da qui infine rimane lo stesso anche lo zoccolo duro della squadra. E quando i giocatori si fermano a lungo, è più semplice per loro conoscere la città e i tifosi, venire permeati dalle storie che loro raccontano quando li incontrano per le strade. E diventare “del Toro”.
Prima di chiudere: impossibile non chiederle una valutazione sul campionato della Juve...
Ottimo. Il migliore da tanti anni a questa parte. Senza dubbio.
Bruno Gambarotta, pochi giorni fa Cairo ha detto “non voglio essere il protagonista, non più, i meriti vadano a Ventura e alla squadra”: lei in passato lo aveva proprio definito “padre padrone”, nevvero? Oh sì, l'ho fatto! Mi sembrava una metafora azzeccata: all'epoca, faceva e disfava in assoluta autonomia, senza render conto a nessuno. Intendiamoci: i soldi sono ed erano suoi, aveva e ha pieno diritto di farlo. Ma se fa, e non fa bene, noi abbiamo diritto e quasi dovere di dirlo: il modo in cui licenziava e richiamava gli allenatori non era un bel comportamento.
Diceva anche – e a onor del vero era opinione diffusa – che avrebbe dovuto imparare a delegare.
Vero, e sono lieto di prender atto che alla fine abbia deciso di farlo. Non sono dentro gli uffici del Torino, ma mi sembra evidente come abbia lasciato che Petrachi potesse fare il proprio lavoro, e così Ventura; e i risultati si sono visti!
Oggi i ragazzi in campo sanno cosa sia il Toro, a differenza di quanto lamentava tempo addietro?
Sembrano davvero ragazzi del Toro. Anche quelli che non lo sono, cioè quasi tutti, in realtà... Probabilmente in parte perché in società è entrato qualche vecchio cuore granata, come Giacomino Ferri e oltre ad Antonio Comi che già c'era; e poi per merito dei tifosi. E della società, ma in senso indiretto.
Ossia...?
Ossia, grazie alla continuità tecnica. Ogni cosa ha una conseguenza positiva, se ben fatta, sulla successiva: Cairo non fa più il padre padrone, da qui ecco il Cairo che delega, da qui ecco che il direttore sportivo può lavorare e portare dei buoni giocatori, da qui ecco l'allenatore che viene confermato per molti anni, da qui infine rimane lo stesso anche lo zoccolo duro della squadra. E quando i giocatori si fermano a lungo, è più semplice per loro conoscere la città e i tifosi, venire permeati dalle storie che loro raccontano quando li incontrano per le strade. E diventare “del Toro”.
Prima di chiudere: impossibile non chiederle una valutazione sul campionato della Juve...
Ottimo. Il migliore da tanti anni a questa parte. Senza dubbio.