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    Galles, impresa dedicata a Charles

    Galles, impresa dedicata a Charles

    • Marco Bernardini
    Era accaduto una sola volta prima di ieri. Quando il Galles del pallone, al pari di quello del rugby, riuscì a stupire non soltanto l’Europa ma il mondo intero. Era il 1958 e in Svezia si giocava per vincere la mitica Coppa Rimet. I gallesi ai quarti di finale rappresentavano la sorpresa del torneo. Loro, esordienti a un Mondiale. Bravi, ma jellati perché dopo essersi qualificati battendo la Scozia trovarono sul loro cammino il Brasile guidato da un giovanissimo Pelè destinato a diventare “Il migliore”. Vinsero i sudamericani, seppure con fatica (uno a zero, appena), che poi volarono al successo finale battendo i padroni di casa della Svezia di Liedholm.

    Il capitano di quel Galles si chiamava John Charles, contro il Brasile non potè giocare perchè si era infortunato. In compenso, appena conclusasi la manifestazione planetaria, andò in vacanza a Finale Ligure perchè, pur essendo l’icona del suo Paese, oramai lui si sentiva un poco italiano. Era un giocatore della Juventus. Di più, era il bomber della Juventus. Ancora di più, era il Gigante Buono della Juventus. Un sodalizio destinato a durare cinque anni definiti da uno score invidiabile per lui e per la squadra bianconera: 93 gol in 155 partite, tre scudetti e due Coppe Italia. In tutto al fianco di quel campione che era esattamente il suo contrario, Omar Sivori. 

    Ieri sera quando il Galles della classe operaia ha “stecchito” i solisti belgi, il nastro della memoria si è riavvolto velocemente per raggiungere le immagini di un’epoca lontana eppure stupenda da poter essere raccontata a chi non ha avuto la fortuna di poterla vivere e frequentare. Quella scritta, in Italia, anche da John Charles. Il campione nato a Swansea nel 1931, la stessa città del poeta Dylan Thomas e della bella Caterina Zeta Jones e dove oggi lavora il nostro Guidolin, che nel 1957 il presidente Umberto Agnelli strappò al Leeds United per la stratosferica cifra di 65 mila sterline. Lo aveva segnalato alla società  bianconera un giovane talent scout italiano che viveva in Inghilterra e al quale i presenti si affidavano perché possedeva buon fiuto. Si chiamava Gigi Peronace ed è ancora oggi nel cuore di tutti gli appassionati di calcio. Se ne andò una notte a Roma, in una camera dell’Hotel Villa Pamphili, dove la nazionale di Bearzot attendeva la mattina per partire verso la Spagna che ci avrebbe visti campioni. 

    John Charles rappresentò certamente, insieme a quello di Sivori, il “colpo” di quella seconda metà del Novecento. Cinque anni positivamente da pazzi che gli valsero oltre la fama internazionale anche il diritto di entrare nella “hall of fame” riservata alle eccellenze britanniche. Era affascinante, la domenica, andare al Comunale di Torino sapendo che avesti avuto la certezza di poter assistere ad uno spettacolo unico. Anzi, a due in uno. Le stregonerie di Omar e lo strapotere del gigante John. A  far loro da corona Mattrel, Corradi Garzena, Emoli, Ferrario, Colombo, Nicolè, Boniperti e Stivanello. Uno squadrone. 

    Di Charles restano fermo immagini per a dir poco clamorosi. Reperti da cult per le cineteche sportive e non. Rigorosamente in bianco e nero. La più famosa. Sivori, tanto per cambiare, dà di matto e vorrebbe saltare addosso all’arbitro. John lo solleva di peso e lo deposita più distate. Poi gli rifila una sberla sul viso. Omar abbassa il capo non come un angelo dalla faccia sporca, ma come un bimbo con  le mani sporche di marmellata rubata. Che tenerezza! 

    Poi. Juventus-Fiorentina al Comunale. Dopo pochi minuti dal via Charles si butta a pesce verso un pallone in area. Lo spizza a lato, ma lui finisce dritto con la nuca contro il palo di destra ancora quadrato e con gli spigoli. Rimane inerme per terra come un enorme sacco vuoto. Il gelo scende sul pubblico dello stadio tutto in silenzio mentre i barellieri portano via il gallese che non dà più segni di vita. Fine rimo tempo. Zero a zero e tanta angoscia in campo e fuori. Tornano le squadre. La Juve dovrà giocare in dieci. Macchè, con tutti i giocatori già schierati, dal sottopasso sbuca un gigante con in testa un turbante da fachiro indù. E’ John Charles il temerario. Lo abbracciano tutti. Anche i viola. 

    E ancora. Giornata di recupero per la Juventus. Al Comunale contro la Sampdoria, di giovedì pomeriggio. Il risultato non si sblocca. Buoni tutti che ci pensa Charles. Parte dalla metà del campo, palla al piede a testa bassa come un’ariete. La progressione diventa quella di un bufalo scatenato. In tre doriani lo rincorrono. Due lo raggiungono e si appendono entrambi alla maglia. Lui li trascina come un carretto fin al limite dell’area dove spara una bomba imprendibile. E lo stadio impazzisce. 

    Avanti. A Torino c’è il Milan in una domenica di ghiaccio con il termometro sotto o zero. Ottantanovesimo, rigore le la Juve. Sivori non c’è perché è stato espulso. In porta nel Milan un giovane di cognome Alfieri. Nessuno vuole tirare. John prende la palla e la poggia sul dischetto. Non è un rigorista e si vede. Una cannonata autentica verso il centro della porta. Alfieri finisce in rete insieme al pallone. Un altro gol che vale punti scudetto. Come tutti quelli realizzati in carriera, per lo più di testa volando tra le stelle più in alto di ogni avversario, con un pallone che non era come quelli di oggi. Ruvido, pesante, con le fibbie e e una vite in metallo che serviva a gonfiare con la pompa. 

    Forse anche per questo, come accade per i pugili a fine carriera, il vecchio John tornato in Galles per gestire un “pub” amava raccontare le sue storie italiane e talvolta perdeva il filo del discorso. Ma, più probabilmente, era per via di quella sua bontà d’animo autentica che, qualche volta, spingeva profittatori pronti a gabbarlo proponendogli iniziative commerciali fallimentari. Persino qualche compagno. Uno di quali, storici,  gli fregò anche la moglie. Non chiedetemi di fare il nome, però. Non è un caso, per esempio, se mai durante la sua carriera italiana (conclusa nella Roma a fare il centromediano) John Charles venne anche semplicemente ammonito dagli arbitri. Un esempio rarissimo, insomma, che mertributo e l’onore di rappresentare l’impresa gallese per gli Europei di Francia. 

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