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G. Gattuso a CM: 'Da Bruno Fernandes al mio Como, che ricordi! Depressione? Ecco la verità. E sono pronto a tornare'
Gattuso, la prima domanda è probabilmente la più semplice da fare: come sta?
Mi sento bene, da tantissimi mesi ormai. La problematica di inizio stagione è passata completamente. Dopo tutto quello che mi era successo ho parlato con diverse persone che mi sono state consigliate e anche con degli specialisti. E quello che mi hanno detto è stato molto semplice: non avevo nulla, dovevo semplicemente stare a riposo.
Come è arrivato ad avere questo problema?
Per un anno e mezzo ho lavorato 24 ore al giorno, senza sosta. Quando ero al campo, lavoravo. Quando ero a casa, lavoravo. Non staccavo mai. Al termine della scorsa stagione, poi, non mi sono nemmeno preso qualche giorno di ferie: per cinque settimane ho seguito il corso a Coverciano e il giorno dopo ho cominciato il ritiro col Como.
Si è parlato di depressione, esaurimento nervoso, stress. Ha dato un nome a quello che ha avuto?
Sì, semplicemente stanchezza. Non derivata da stress, ma dal tanto, troppo, carico di lavoro. Io sono fatto così, in quello che faccio do tutto, ho esagerato senza mai staccare. Anche a stagione finita, per me era normale. “Fatica da lavoro”, questo è quello che ho avuto. La testa mi ha detto: “Stai esagerando”. Già prima della partita col Cagliari ho avuto un periodo in cui ero sempre stanchissimo, a livello mentale e fisico. Non ho avuto depressione o esaurimento, solo troppo carico di lavoro. Dopo due giorni dal malessere ho fatto una visita da uno specialista, che mi ha spiegato quello che mi era successo e come avrei dovuto comportarmi in futuro.
Com’è stato doversi fermare sul più bello?
Lasciare non è stato semplice. Ero in Serie B, nella mia squadra, con una rosa e degli obiettivi ancora più importanti rispetto alla stagione precedente. Ma mi sono fermato e tutto si è sistemato, questa è stata la mia forza. Adesso mi conosco, so come sono fatto e come mi devo comportare nel lavoro. Voglio guardare il lato positivo di questa esperienza: ora so come gestire il mio corpo e la mia mente, tutto questo mi è servito per migliorare. E adesso sono tranquillo, sto veramente bene, sono molto carico per rientrare in pista. Ho sfruttato questi mesi per aggiornarmi, lavorare e migliorare. Non ho solo riposato, ma ho dato un senso professionale a questo periodo.
Com’è la sua vita oggi?
La mattina analizzo partite, allenatori, squadre e sistemi di gioco. Il pomeriggio tre o quattro volte a settimana mi alleno. Mi sono iscritto in palestra per mantenermi in forma, penso sia un elemento importante essere in forma, anche da allenatore. Quando torno a casa, poi, riguardo le mie cose, le mie idee, quello che potrei cambiare e migliorare rispetto al passato. Mi concentro su come crescere sotto ogni aspetto. Il sabato e la domenica vado per gli stadi, vedo partite di tutte le categorie: dalla Serie A a B e C. Prendo appunti e inserisco tutto nel mio lavoro di analisi che faccio durante la settimana. Non lavoro per una società, ma lavoro per me. Il calcio si sta evolvendo, un allenatore deve stare al passo: quello che facevi due, tre o quattro anni fa non è detto vada bene ora. Studio, capisco, cerco soluzioni nuove. Tutto dipende dalle conoscenze che un allenatore ha e da come vorrà migliorare e crescere. Ci vuole tempo per affrontare questo percorso, io lo sto facendo ora. Durante il mio periodo di stop sono riuscito a prendere il patentino Uefa Pro.
In questi mesi l’hanno chiamata in tanti dal mondo del calcio?
Quando non sono stato bene tantissimi: non solo amici o tifosi, ma anche addetti ai lavori. Direttori sportivi, allenatori, anche persone che avevo solo incrociato nel mio percorso. Questo mi ha reso felice, spesso si guarda solo all’aspetto professionale, invece a me ha fatto piacere anche vedere che avevo creato qualcosa a livello umano con queste persone.
E lavorativamente? Ci sono stati contatti per tornare a guidare una squadra?
È ancora tutto nel vivo, molte società sono impegnate tra playoff e playout e non sanno in quale categoria giocheranno nella prossima stagione. Posso dire che ho fatto due colloqui, uno con una società che è ancora nel vivo della sua stagione e uno con un direttore sportivo. Al momento anche lui è senza squadra, anche se ha avuto diversi contatti. Tutto è legato a dove potrebbe andare lui.
La rivedremo già a luglio in qualche squadra?
Non ho pretese, la gente sa quello che posso dare e quello che ho fatto è sotto gli occhi di tutti. Non devo vendere fumo, ognuno fa i suoi ragionamenti. Non ho bisogno di “vendermi”, chi mi conosce sa che persona e che allenatore sono, come e quanto ho lavorato per le mie società. Sono me stesso, Giacomo Gattuso è questo.
Cosa le manca di più del mestiere di allenatore?
Tutto. La gestione del gruppo, stare a contatto con la squadra, lo staff, preparare la settimana, arrivare poi alla partita che non sempre è lo specchio della settimana, ma spesso sì. Lavorare bene in allenamento ti permette di arrivare in maniera più tranquilla e serena alla gara. In assoluto, però, quello che mi dava adrenalina era entrare allo stadio il giorno della partita, parlare coi ragazzi e vivere tutto quello che succedeva in quei 90 minuti. Ora vedo le immagini in tv e sento nostalgia, mi piacerebbe riprovare tutto quello.
E del suo Como?
Dal vivo non ho ancora visto partite della mia squadra, non voglio distogliere l’attenzione della gente andando allo stadio. Avevo pensato di andare al Sinigaglia nel momento in cui ci fosse stata la salvezza aritmetica, ho troppo rispetto per il club, le persone che ci lavorano e tutti i tifosi. Mi manca tanto a livello emozionale, ma vedo le partite, spesso in replica durante la settimana visto che il weekend sono in giro per gli stadi. Ho conoscenza di tutto quello che succede alla squadra, perché la seguo costantemente.
Qual è stata la soddisfazione più grande della sua carriera da allenatore? Il mio lavoro per tanti anni si è basato sulla crescita dei giocatori. Per quasi 15 anni ho allenato nel settore giovanile del Novara e mi sono tolto tante soddisfazioni. Se devo fare un nome, essere stato il primo allenatore di Bruno Fernandes in Italia è stata senza dubbio la più grande ma vedere che società come Inter, Milan, Juventus o Atalanta, giusto per citarne qualcuno, cercavano tanti nostri giocatori, vale altrettanto. Aver portato 15, 16, 20 ragazzi in Prima Squadra, molti dei quali sono poi arrivati in Serie A, vale altrettanto. Questa è stata la mia soddisfazione a livello personale: quando vedo un ragazzo che cresce seguendo le mie indicazioni è bello. Ci sono tanti ragazzi con cui ho lavorato che poi ho incontrato nelle mie squadre o anche da avversari e ho visto in loro le caratteristiche che gli avevo inculcato, umanamente e professionalmente. Li riconosco per l’atteggiamento che hanno, il modo di stare in campo e lavorare. Di questo sono orgoglioso e fiero. Conoscendo il mio percorso professionale poi, da ragazzo del Como, con l’affetto che la gente ha avuto per me e tutto quello che ho dato sul campo da giocatore prima e allenatore poi, la promozione dalla C alla B del 2021 ha fatto cambiare tutto. Un risultato straordinario, arrivato quando mi avevano chiesto di dare una mano. Quella promozione e la salvezza in B raggiunta a metà campionato l’anno seguente sono stati sicuramente i momenti più belli fin qui.
Un allenatore di 54 anni ha ancora sogni da realizzare?
Io ho chiuso un cerchio tornando a Como e facendo quello che ho fatto, neanche nei sogni pensavo fosse possibile. Dopo questi due anni ho capito che nel calcio dei grandi ci posso stare alla grande, mi appartiene, i risultati hanno detto questo. Posso fare questo lavoro. Un allenatore punta sempre ad arrivare più in alto, non direi che ho dei sogni, ma solo una grande voglia di rimettermi in pista.