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    Gattuso, assolto dal calcioscommesse, attacca le tv: 'Dove siete finite?'

    Gattuso, assolto dal calcioscommesse, attacca le tv: 'Dove siete finite?'

    Era il 18 dicembre quando l'ultimo ramo dell'inchiesta del calcioscommesse chiamava in causa uno dei nomi più importanti del panorama calcistico italiano: Gennaro Gattuso. Il mondo del calcio ha tremato di nuovo: 30 gare di A, tra il 2011 e lo scorso campionato, e 50 di altre serie, ma sarebbe a rischio di manipolazioni anche il campionato in corso, secondo le ordinanze di custodia cautelare. Ma il giocatore si è sempre dichiarato innocente e ieri, finalmente, è arrivata la tanta agognata assoluzione: il gip di Cremona, Guido Salvini, su richiesta del procuratore Roberto di Martino, ha archiviato la posizione dell'ex capitano del Milan, Gennaro Gattuso, indagato nell'ambito dell'inchiesta sul calcioscommesse. 


    "Ho sofferto, certo che ho sofferto. Non sarò né il primo né l'ultimo". Rino Gattuso è a Creta, allena l'Ofi, e da ieri è un uomo senza conti aperti con la giustizia. Non urla, non accusa, ma è il primo a sapere che se nel dicembre scorso il nuovo filone dell'indagine della procura di Cremona sul calcioscommesse si fosse fermato ai nomi su cui veramente c'erano delle prove, la notizia sarebbe finita nelle pagine interne di cronaca sportiva, tanto era desolante il livello dei trafficoni di provincia, dei falliti, dei millantatori di cui pullulavano le tonnellate di pagine dell'inchiesta.

    Invece in quelle carte c'era anche il suo nome, della bandiera del Milan e della Nazionale, e così le nuove rivelazioni sfondarono le prime pagine, le aperture dei siti web, le cronache estere. Su Ringhioil guerriero di mille battaglie, piovve l'onta di essersi messo al soldo degli allibratori. Le conferenze stampa che divulgavano al mondo le malefatte del vecchio mediano richiamarono a Cremona il circo dell'informazione al completo. "Oggi, dove sono le televisioni che quella mattina alle sei erano sotto casa mia?", si chiede Ringhio.


    Non era vero niente. E non lo si è scoperto adesso. Era già chiaro allora. Bastava leggere le carte dell'inchiesta per capire che su Rino Gattuso non c'era uno straccio di prova. Il suo nome veniva fatto al telefono da alcuni della banda, in mezzo a tonnellate di altre chiacchiere senza costrutto, parlando persino di un «fratello di Gattuso» che di fratelli non ne ha mai avuti. E quando si arrivava agli elementi di prova diretti, ai contatti personali che per la squadra mobile e la Procura di Cremona dimostravano i sordidi rapporti tra Ringhio e gli scommettitori, non c'era nulla di nulla.

    Si analizzavano i tabulati telefonici di Francesco Bazzani, uno dei broker della banda, con Gattuso, per affermare che «nel periodo oggetto di indagine Bazzani aveva intrattenuto tredici contatti con l'utenza in uso al calciatore». Ma non si spiegava che a chiamare era sempre solo e soltanto Bazzani. Era Bazzani a inviare gli sms cui Ringhio non rispondeva mai. Stalking, insomma, il corteggiamento serrato di uno che puntava ai favori di Ringhio senza ottenerli.


    Eppure Gattuso finì iscritto nel registro degli indagati. Non solo per frode sportiva, come forse (forse) era utile per proseguire egli accertamenti, ma addirittura per associazione a delinquere. Venne pubblicata persino, e presentata come prova a carico, l'intercettazione dove un trafficante e un calciatore di calcetto sparlavano di Gattuso insieme a Fabio Cannavaro e Gigi Buffon: "Lui, Gattuso... Cannavaro... sono proprio malati!", senza sottilizzare se fosse una battuta, una chiacchiera da bar o una notitia criminis.

    Ringhio venne sbattuto nel tritacarne, e solo lui sa come ha vissuto questi dieci mesi. Che finiscono come era inevitabile, lunedì pomeriggio, con l'ufficiale giudiziario che notifica al suo avvocato il decreto di archiviazione dell'inchiesta. Nulla, nelle carte dell'indagine, porta a ritenerlo complice della banda multinazionale che trafficava sui risultati del campionato italiano. Lo dice, adesso, la stessa Procura che lo ha incriminato. E il giudice preliminare Guido Salvini condivide e firma il decreto.

     

    Nella sua richiesta, la Procura fa retromarcia su tutta la linea. Sugli incontri che Bazzani avrebbe avuto con Gattuso a Milanello, adesso si scrive che "la presenza di Bazzani il 2 febbraio a Milanello, pur dimostrativa di un certo rapporto con l'ambiente del Milan non può essere necessariamente ricollegata con un incontro con Gattuso". Si ammette che una telefonata del febbraio 2011 tra Bazzani e Gattuso "è troppo antecedente" alla partita Milan-Lazio, sospettata di trucco. Si parla di "elementi troppo scarni per poter giungere a qualunque conclusione". Idem per Juventus-Milan del 6 marzo. E pure per Milan-Bari del 13 marzo, per Milan-Cagliari del 14 maggio. "Anche in questo caso non vi è prova alcuna che Bazzani abbia contattato gli ambienti del Milan in funzione della partita". 

    Insomma, il nulla. Gli stessi giudici ammettono che il contatto di Bazzani era con tale Pipieri, un vecchio amico di Gattuso, e non c'è prova che Ringhio sapesse alcunché dei traffici dei due. E l'inchiesta su Gattuso finisce qui, senza aspettare nuove perizie, perché - scrive Salvini - "non appare comunque corretto dilazionare l'adozione del presente provvedimento tenuto conto dei gravi pregiudizi che la pendenza del procedimento può provocare all'attività professionale dell'indagato in termini di perdita o di incertezza di contratti e di occasioni di lavoro nel mondo sportivo". E questi dieci mesi, chi glieli ripaga?

    Luca Fazzo per Il Giornale


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