La dura vita dell’attaccante è fatta di attimi. E dettagli. E’ sempre una questione di centimetri. O gol o fuori. Basta poco, e quando ti gira male diventa dura. Parecchio dura. La porta sembra rimpicciolirsi, le mani del portiere paiono enormi. Segnare, diventa una missione impossibile. Anche per chi lo ha sempre fatto. Fin da bambino. Prendete Matri, e la partita di ieri. O quella col Napoli. Almeno cinque (clamorose) occasioni fallite senza capire come fosse possibile. In realtà, quest’anno, gli è capitato spesso. Trenta presenze (tra campionato e coppe) e cinque gol, fino alla gara di ieri ricorda oggi il quotidiano La Repubblica edizione di Firenze. Uno col Milan, quattro con la Fiorentina. Pochi, per uno come lui, e quelli son rimasti. Eppure, che fosse una stagione complicata, s’era capito fin dall’inizio. In rossonero, in particolare, è stata una lenta agonia. Una storia iniziata male e finita peggio. Le gente voleva un difensore, e l’accoglienza di San Siro fu un trionfo di striscioni contro la società. «Niente di personale con Matri — dicevano — ma non ci serve a niente». Non il miglior benvenuto possibile. Anche per questo, forse, Alessandro non ha ingranato. Mai tranquillo, con la costante angoscia di dover giustificare i 12 milioni spesi per strapparlo alla Juve. Purtroppo per lui, non c’è mai riuscito, e ha lasciato Milano sommerso dai fischi dei suoi tifosi. Quindi la Fiorentina, l’esordio da sogno di Catania, e un gol all’Esbjerbg. Punto. Anche perché nel frattempo era tornato Mario Gomez. Sperava di giocarci insieme, qualche volta. Invece no. Qualche scampolo di gara. Niente di più. Nel mezzo, un sacco di opportunità sprecate. Come a Torino, con la Juve, per l’andata degli ottavi di Europa League. Tanta lotta, zero gloria. Ieri sera, l’ennesima occasione. Per prendersi la rivincita su chi l’ha mandato via, e per zittire i primi mugugni che, anche a Firenze, iniziavano a circolare. L’inizio, per la verità, è stato da brividi. Anche ieri. Pronti via e Cuadrado gli recapita un pallone al bacio sulla testa. Matri c’arriva, ma mette fuori. Come al San Paolo. Qualche secondo, e il «32» replica con un tentativo di volée che (esistesse ancora) sarebbe materiale da Mai Dire Gol. Il primo tempo, per intendersi, è da dimenticare. Qualche sponda, un paio di calcioni. E stop. Non a caso lo stadio, all’ennesimo pallone giocato con troppa lentezza, il Franchi si fa sentire. Niente di clamoroso, sia chiaro. Una specie di grido d’impazienza che esplode fragoroso al terzo minuto del secondo tempo. Joaquin gli offre su un piatto d’argento la palla del riscatto. Matri la guarda, prende la mira, colpisce, e sbaglia. Roba oggettivamente imperdonabile. Tanto che pure lui perde la pazienza, e scarica tutta la sua rabbia contro il palo. Una pedata piena di frustrazione, mentre sugli spalti la gente si chiede come abbia fatto a non prendere nemmeno la porta. «Almeno quello», mormora qualcuno. Tutto questo mentre dall’altra parte, Balotelli, disegnava la punizione del 20. Un altro macigno, dopo gli errori del centravanti viola, sulle speranze di rimonta della Fiorentina. E pensare che doveva essere la sua partita. Quella della riscossa. Perfetta per cancellare mesi di delusioni. Niente di tutto ciò. Anzi. Il contrario. Eppure, Montella, non può farne a meno. Non gli è rimasto che lui. Come a gennaio. Senza Gomez, senza Rossi, con una città che si chiede cosa sarebbe stato senza tutti quei maledetti infortuni. Rimorsi, rimpianti, dubbi e perplessità che toccava (tocca) a Matri cancellare. Come? Segnando. Tirando fuori l’orgoglio. Gli restano un paio di mesi. Convincere la società a riscattarlo, o tornarsene al Milan per poi, probabilmente, essere ceduto altrove.