Fiorentina, Ljajic e sette milioni di presunzione
Alla vigilia di Palermo-Fiorentina del 24 gennaio 2010, poi finita 3-0 per i rosanero, la squadra viola è all'apice della sua storia recente: sesta in classifica, agli ottavi di coppa Italia (che tre giorni dopo sarebbero diventati qualificazione ai quarti), e agli ottavi di Champions League raggiunti grazie al primo posto nel girone, frutto anche della vittoria ad Anfield contro il Liverpool. In quel preciso momento - nel pieno del mercato invernale - Pantaleo Corvino ha in mano un budget importante da sfruttare per rinforzare una rosa, quella allenata da Cesare Prandelli, che deve solo compiere l'ultimo scalino per il definitivo salto di qualità. Ventiquattro mesi dopo però, a ricordarsi delle quattro operazioni in entrata dell'uomo di Vernole, non resta che disperarsi per come quei venti milioni di euro circa siano stati sperperati, provando a dimenticarsi che Dario Dainelli e Martin Jorgensen, vere anime dello spogliatoio gigliato (capitano e suo vice nei momenti di gloria della Fiorentina dei Della Valle), furono svenduti, per - ancora a tutt'oggi indimostrabili - dissidi con l'attuale c.t. della Nazionale italiana.
E volendo soprassedere sugli acquisti di Felipe Dalbelo, nove milioni all'Udinese per un difensore fragile fisicamente e soprattutto moralmente - visto che i 'bene informati' dello spogliatoio viola raccontano di crisi di vomito negli intervalli delle partite della Champions League per la troppa tensione accumulata -, e su quelli dei 'fenomeni' sudamericani Ariel Bolatti e Keirrison, mai finiti nei radar del calcio che conta, la vera perla di quello sciagurato calciomercato rimangono i sette milioni 'donati' al Partizan Belgrado - che, come diceva scherzando Giovanni Becali poco più di un anno fa, è di fatto divenuta la succursale della Fiorentina - per Adem Ljajic. Due stagioni dopo si può tranquillamente definire quei sette milioni di euro spesi fra costo del cartellino e intermediario di mercato - sempre il solito procuratore italiano con cui il d.s. gigliato ha un filo diretto - uno sperpero di presunzione. La presunzione di Pantaleo Corvino, che dopo l'affare Felipe Melo si è sentito 'il re del mercato', di voler acquistare un giocatore troppo giovane, inutilizzabile per la Champions League di quell'anno e che ha dimostrato limiti caratteriali e di crescita fin troppo evidenti nei suoi due anni fiorentini. Rimasto nella mente per la sua Ferrari nera e per l'eccessivo consumo di playstation e cioccolata - per stessa ammissione di quello che doveva fargli fare il salto di qualità, anche perché suo connazionale, cioè Sinisa Mihajlovic -, Adem Ljajic è l'essenza di tutto ciò che non serve in questa Fiorentina.
Senza 'fame' calcistica, senza la voglia di imporsi nel calcio italiano, e soprattutto - e qui la leggenda cittadina si mischia ad episodi finiti 'a verbale', nel vero senso della parola - con episodi fuori dal campo che vanno da notti 'fuori orario' in centro città, anche dopo brutte sconfitte (quest'anno dopo il Chievo Verona), al caso della patente ritirata perché non in regola. Finito in una spirale di depressione, sembrava che il colloquio 'a tu per tu' con l'amministratore delegato Sandro Mencucci, tre settimane fa, e poi quello con il neo tecnico Delio Rossi, potessero permettergli il grande rilancio. Il flop clamoroso contro l'Inter ha certificato l'inadeguatezza di un calciatore ben lontano dall'essere un campione, e la cattiva gestione societaria e tecnica di un giocatore che va mandato il prima possibile a giocare lontano da Firenze. Quel suo isolarsi dai compagni, e la ricerca costante dei suoi connazionali (o quasi) Jovetic e Gulan, lo rendono inadeguato per le esigenze attuali della Fiorentina, che ha bisogno di gente che metta in campo ardore e sudore. Ecco perché questo ragazzo presuntuoso, che tre anni fa aveva stregato Alex Ferguson, deve poter crescere dove c'è chi lo può seguire in modo adeguato. A gennaio sarà pedina di scambio per altri affari: in pole Bologna e Sampdoria, sperando che fra sei mesi abbia smesso di fare il bambino, e sia diventato un piccolo-grande uomo.