Fiorentina-Inter: due fratelli spettatori 50 anni dopo
L.C.
Di quella sua prima partita allo stadio Tobia ricorda solo un ragazzone, alto, che all’improvviso si alzò in cielo e incornò la palla nella rete di Albertosi. Era il 19 gennaio del 1964, quel ragazzone si chiamava Nicolè, centravanti del Mantova, che con quel gol espugnò Firenze. Un battesimo con il tifo che fu presagio di passione dolorosa. «Eh, essere tifoso della Fiorentina non è stato facile. Le domeniche con il magone sono molte, troppe», racconta Tobia al quotidiano Il Tirreno, che oggi ha 58 anni e fa l’insegnante. A portarlo allo stadio ci pensò Sandro, il fratello più grande di dodici anni, che allora lavorava alla Superpila di Firenze e ogni sera tornava a casa con il giornale sportivo, riposto in borsa con il pentolino del pranzo che si portava da casa, dove la mamma gli metteva pasta o salsicce, molta verdura, erano tempi duri, gli anni Sessanta per gli Strivieri. «Appena tornava a casa la sera gli correvo incontro. “Sandro, dammi il giornale...” Ricordo ancora il profumo di inchiostro e l’unto del cibo. Mi leggevo tutti gli articoli della Fiorentina. E ogni domenica ascoltavo alla radio i secondi tempi delle partite, anche se avevo solo 8 anni», ricorda Tobia. Un giorno Sandro tornò a casa con un’aria più allegra del solito e rivolto al fratellino gli disse: «Ho comprato due biglietti per la partita della Fiorentina. Domenica ti porto allo stadio. Giochiamo contro il Mantova. Faremo tanti gol». In quel campionato, la Viola si piazzò al quarto posto e i mantovani al dodicesimo. Lo scudetto lo vinse il Bologna. Per dire insomma che non c’era partita... Sandro aveva una Fiat 500 bianca: «Dai Tobia, sali che altrimenti si fa tardi». Allora le partite cominciavano alle 14,30. «Lo stadio mi apparve enorme, ero emozionato e confuso. Salimmo i gradini della curva mentre lo speaker stava dando le formazioni. Albertosi, Robotti, Castelletti, Guarnacci, Brizi, Pirovano, Hamrin, Lojacono, Petris, Benaglia, Seminario. Del Mantova ricordo solo il terzino Schnellinger, Giagnoni e Simoni, che poi sono diventati allenatori», racconta Tobia. Finì uno a zero per il Mantova e il ritorno a casa fu mesto, silenzioso. «Non te la prendere. Ti ci riporto un’altra volta e vedrai che andrà bene». L’altra volta fu tre anni dopo, il 3 dicembre del 1967. A Firenze era di scena l’Inter di Herrera. L’inizio dei viola fu schioppettante, al 24’ del primo tempo segnò Amarildo, il brasiliano, ma cinque minuti dopo pareggiò Domenghini. «Una delle più grandi delusioni. Prima il sogno, battere l’Inter in quegli anni era un’impresa, poi la sua fine in pochi minuti, il tempo di stare abbracciato al mio fratello dall’esultanza e di sgusciare l’ultima nocciolina», racconta Tobia. Da allora i due fratelli non hanno più visto una partita insieme. Le strade della vita si divaricano e il pallone non le unisce più. Passano gli anni, Sandro diventa imbianchino,si sposa, i figli, i nipoti, i grandi dolori della vita. Oggi ha 70 anni e si infiamma solo a parlare di politica mentre Tobia ha coltivato quella passione per la Viola trasmessagli dal fratello più grande in quel gennaio di mezzo secolo fa. Finché cinquant’anni e un mese circa dopo, il 15 febbraio scorso, Tobia ha telefonato al fratello più grande, ormai nonno settantenne e un po’ malato: «Sandro, ti regge il cuore?». E lui: «Eh, un po’ alla meglio». Tobia: «Allora copriti e ti vengo a prendere e ti porto a vedere la partita». Lui: «Ma che sei bischero?». Dopo un po’ di sceneggiata, Sandro accetta e i due fratelli tornano insieme allo stadio, guarda caso la partita è sempre Fiorentina-Inter, come se il tempo si fosse fermato. «Sandro era spaesato. Lo stadio è sempre il solito, ma non si è ritrovato: le luci a palla, le tv, i cori, la notturna, in tribuna Renzi e Della Valle», racconta Tobia. I ruoli si sono come rovesciati, il fratello minore prende per mano quello più grande, lo rincuora, rassicura, gli compra il panino, la birra, le noccioline. «Vedi, quello è Cuadrado, guarda come balla con il pallone. Cavolo, la Viola stasera è lessa. Sì, ma non si può giocare con una sola punta.. Sandro, entra Gomez... no, il gol dell’Inter, fuorigioco netto...». Tobia esulta, sbuffa, s’arrabbia. Sandro è una pietra di uomo. Guarda immobile, assente.La partita finisce male, la Fiorentina perde due a uno. Ma non è il risultato a contare quanto la memoria e le passioni di due fratelli. E le loro vite ripassate in silenzio in una sera di febbraio. Mezzo secolo dopo