Redazione Calciomercato
Fenomenologia di Postecoglou: come un allenatore sconosciuto sta facendo la rivoluzione nel calcio inglese
Ventisei punti in 10 giornate di Premier League. Un premio di Manager del mese di agosto strameritato e festeggiato a modo suo, bissato poi a settembre. Se, di solito, i coach si fanno riprendere da soli col premio in mano, lui ha deciso che nello scatto dovesse esserci tutto il suo staff. Mr Calm, come è stato rinominato, è fatto così. Più che in campo, ha conquistato i suoi nuovi tifosi per i suoi gesti fuori, per le sue parole, per la sua storia personale, per la persona che è, prima dell’allenatore.
Il punto però è che Postecoglou sta facendo innamorare anche gli altri supporter, quelli delle squadre che di solito ‘odiano’ il Tottenham e i suoi allenatori. “Riprendete Conte o Mourinho, Ange è troppo amabile come persona. Non possiamo non tifare per lui, cacciatelo! Fatelo per noi!”, scrivono i tifosi di Arsenal, Chelsea e tutte le altre nei forum, sotto ai tweet e alle notizie che riguardano l’australiano. “In estate tutti chiedevano al Tottenham di prendere un nome grosso per la panchina, alla fine hanno preso un nome lungo”, ha detto lui scherzando. Passato indenne dal derby del Nord di Londra e dalla infuocata sfida col Liverpool, abbiamo provato a spiegare il fenomeno Postecoglou. Un personaggio però talmente complesso e dalle mille sfaccettature che per approfondirlo servono più delle 11 lettere del suo cognome. Ne abbiamo usate 24, quelle dell’alfabeto, per presentare un allenatore diverso da tutti.
A come Arsenal: la squadra che ha testato le ambizioni del Tottenham nel match più atteso dell’anno per i tifosi del club di Levy. Contrari alla classica tendenza di questo club a buttarsi via, alla ‘Spursiness’, Son e compagni hanno strappato un 2-2 di rimonta, non la prima dell’anno. E Ange ha risposto così a chi traccia per lui un futuro alla Arteta: “Mikel è stato fantastico in questi anni. Ha avuto una vision e il club lo ha appoggiato, un po’ come successo col Liverpool e Klopp. Molti club fanno saltare i piani al primo segno che le cose non stanno procedendo al ritmo sperato. Li ringraziamo per il modello, anche noi vogliamo questo. Io come lui? Ho 58 anni, lui molti di meno (41, ndr). Ho allenato per 26 anni in molti paesi, lui per cinque in uno. E poi ha dei capelli fantastici ed è molto più in forma di me. Non lo so, non vedo tante cose in comune tra noi. Siamo diversi. Anche nel modo in cui gioca la sua squadra. Sì, ha una filosofia molto offensiva, ma è diversa dalla mia e questa è la bellezza del gioco. Questo è ciò che mi piace. È per questo che non puoi copiare. Se sei un artista e vedi un Picasso, sì, puoi copiarlo, ma non sarà un Picasso. È lo stesso con il calcio. Puoi vedere che qualcuno fa qualcosa davvero bene, ma non portarci dentro la tua personalità”.
B come Bazball, una delle sue ispirazioni. Da vero e proprio studente del gioco, Postecoglou attinge da tutto per migliorare, anche dal cricket. Il Bazball è uno stile di gioco adottato dalla nazionale inglese di cricket che ha appassionato l’allenatore. Ha rivelato infatti di averlo studiato e di essersi rifatto ai suoi principi anche nel suo lavoro quotidiano. Questo termine è stato coniato per definire lo stile di gioco ideato da Brendon McCullum (soprannominato appunto Baz), allenatore della nazionale, nato in Nuova Zelanda e a cui si è ispirato… l’australiano, in barba alle rivalità. Il Bazball punta a far prendere decisioni positive in attacco e in difesa, sia in battuta che in campo. Grazie a esso, l'Inghilterra ha registrato medie punti molto più alte e trasformato molte situazioni di pareggio in vittorie.
"In qualsiasi sport, quando vedo le squadre rompere gli schemi tradizionali, quando vedo le persone che iniziano a sentirsi a disagio, allora penso 'OK, potrebbe essere qualcosa di speciale'. Significa che stai aprendo una nuova strada e adoro questo in qualsiasi cosa nella vita. La bellezza del calcio è che ci sono tanti modi in cui puoi avere successo, tanti modi in cui puoi allestire la tua squadra, tanti modi in cui puoi contrastare gli avversari. Potrei essere a un estremo e altri a quello opposto e potremo entrambi avere successo in questo gioco. Vogliamo fare un tipo di calcio diverso, propositivo. E se lo fai avrai con te i tifosi che si divertono a vederci giocare”, ha detto in pre-stagione. In un amichevole estiva contro lo Shakhtar Donetsk, Postecoglou ha criticato i suoi per aver cercato di proteggere il vantaggio per 1-0 negli ultimi istanti del primo tempo. “Non saremo mai così. Non giudico chi gioca per speculare, è un modo legittimo di giocare e ognuno ha il suo. Ma noi non giocheremo mai così. Non posso allenare in quel modo. Non saprei cosa fare, cosa dire ai miei giocatori negli ultimi cinque minuti solo per mantenere un gol di vantaggio. Semplicemente non fa parte di quello che sono. Ai tuoi ragazzi devi dare chiarezza”, ha detto.
C come Celtic, il club che lo ha lanciato nel Pantheon del calcio europeo. E pensare che l’inizio era stato da brividi. A Glasgow, Ange ci arriva nel peggior momento possibile. La squadra è in totale rifacimento: i tifosi sono furiosi, il gruppo ha poca qualità e i rivali dei Rangers spadroneggiano. Nella stagione precedente, quella 2019/2020, avevano messo le mani sul titolo con 25 punti di vantaggio sui cugini, un disastro. Postecoglou parte male. Esce con il Midtjylland nei preliminari di Champions League, è fine settembre del 2021 e il Celtic ha già perso sette volte in tutte le competizioni. Di lì in avanti lo switch. Non perderanno più nelle prossime 31, in due anni vinceranno 5 titoli. Prima il campionato e la coppa, poi il Treble nella stagione successiva. Certo, in Europa i biancoverdi escono dal girone di Europa League e da quello di Champions ma se chiedete agli aficionados scozzesi oggi Postecoglou è ancora, e sempre sarà, un idolo. Durante i festeggiamenti per l’ultimo titolo, tutti i giocatori vestivano una maglia con su scritto ‘We never stop’ (‘Non ci fermiamo mai’), la frase ripetuta miliardi di volte dall’allenatore durante gli allenamenti, un mantra entrato nelle teste dei suoi calciatori.
D come Dimitros, suo padre e punto di riferimento. Ange lo cita spesso quando parla e racconta di lui anche ai giocatori. È da lui, dal suo esempio e da quello della madre Voula, che recepisce i concetti di sacrificio, di lavoro, di privilegio. Dimitros (per comodità diventato Jim) è morto nel 2018. Negli anni Settanta, decise di prendere la sua famiglia (con Ange e sua sorella maggiore Liz) e sottoporla a un viaggio di 30 giorni in nave con meta Australia. Senza ritorno. Jim aveva perso il suo negozio di mobili durante quella che è passata alla storia come la Giunta, la dittatura dei colonnelli, il regime di dittatura militare di ispirazione fascista che si era instaurato dopo il colpo militare in Grecia a cavallo tra i ’60 e ’70. Arrivati a Melbourne, non conoscevano la lingua, non avevano un posto dove stare né un modo per tirare avanti.
La vita dei primi tempi australiani era dura e per il cinquenne Angelos è uno shock. “I miei genitori lavoravano giorno e notte. C’è un concetto sbagliato di immigrazione. Quando sento dire che le persone emigrano per avere una vita migliore, mi arrabbio. Non è vero. Le persone vanno in un altro Paese non per sé stesse ma per provare a migliorare le vite dei loro figli e dei figli dei loro figli, non le loro”, ha detto a SkySports, riavvolgendo il nastro della sua esperienza. “Siamo stati in una specie di campo profughi per un po', poi abbiamo ottenuto una casa da condividere con un'altra famiglia. Io, come tutti i bambini, volevo solo trovare un modo per avvicinare mio padre, per passare del tempo con lui. Ci sono riuscito grazie al calcio. Amava questo sport e, crescendo, quello è stato il legame che ci ha stretto”, ha confessato.
Jim amava l’Aek e il Real Madrid, disprezzava il calcio italiano e il catenaccio e sognava che suo figlio arrivasse un giorno a giocare a grandi livelli in Europa. Era con lui che guardava le gare di Premier, di notte. Di domenica si andava a messa la mattina e nel pomeriggio a Middle Park, la casa del South Melbourne Hellas, la squadra greca del quartiere diventato di fatto greco, vista la presenza degli immigrati. Era un rituale collettivo. Il padre di Ange, che non parlava inglese, per due ore poteva sentirsi di nuovo a casa, poteva parlare greco. Scorbutico, duro, di poche parole, Postecoglou senior non si è goduto il momento in cui il calcio d’élite ha riconosciuto la grandezza del figlio. Ma probabilmente anche questo non l’avrebbe scosso più di tanto. “Non l’ho mai soddisfatto davvero del tutto. E so che lo diceva per farmi continuare a lavorare, per farmi arrivare al top. È lui che mi ha reso chi sono oggi”, ha detto parlando di lui. Ange racconta infatti che, quando gli fece vedere la medaglia d’oro della Coppa d’Asia, non fece tante feste ma disse: ‘Sì, bravo. Ma avessi fatto una sostituzione un po’ prima e la smettessi con questa costruzione dal basso, magari non avresti avuto bisogno dei supplementari per vincerla”.
E come Emirates, il campo degli eterni rivali dell’Arsenal. Qui si è tenuto il suo battesimo di fuoco nel derby del nord di Londra, superato. I suoi Spurs hanno strappato un 2-2 che ha portato a 45 i pareggi nelle ormai 163 sfide nella storia dei club (69 vittorie Gunners, 49 Spurs). Certo, non ha sfatato il tabù. Il Tottenham ha vinto solo una delle ultime 30 trasferte in casa dell'Arsenal con 11 pareggi e 18 sconfitte e di fatti non vince tra le mura dei rivali dal novembre 2010. Ci sarà tempo.
F come Fantacalcio, quello che per colpa del Tottenham non potrà fare più. Al suo debutto in Premier, Ange ha confessato di essere stato sì emozionato ma anche turbato. “Ci saranno un po’ di miei amici che verranno a vedere la partita. Sono stato inondato dalle richieste di biglietti ma è bello perché loro sono stati con me in questo percorso fin dagli inizi. Noi tutti avevamo dei sogni da realizzare e ora li stiamo vivendo grazie a questa esperienza perché ci ritengo una cosa sola. Non sarei qui senza di loro. Ma ho anche realizzato che, per la prima volta in 20 anni, ora dovrò ritirarmi dal nostro gruppo di fantacalcio sulla Premier League. Sono distrutto anche se in effetti non mi serve più avere una fantasquadra di Premier, avendocene una vera. Ma se credono di estorcermi informazioni sulla squadra sbagliano, non avranno niente di niente da me”, aveva detto tra il serio e il faceto.
G come Guardiola. Dici allenatore in Inghilterra negli ultimi anni e non puoi non citare Pep. Il catalano, si sa, dispensa complimenti a giocatori, club, allenator, nomi, cose e città, ma quando gli è stato chiesto un parere su Postecoglou è stato serissimo. “Il nuovo allenatore del Tottenham? Cosa posso dire? Arriva un altro manager eccezionale. Ho avuto il piacere di conoscerlo a Tokyo (nel 2019, ndr), ho parlato a lungo con lui e ho un ottimo rapporto col patron del Celtic. Me ne ha parlato benissimo. All’epoca giocammo contro il suo Yokohama, un’amichevole. Bene, la sua squadra giocò un calcio incredibile, seppe tenere il possesso del pallone molto più di noi (58%, ndr). Quella fu una delle squadre meglio allenate che abbia mai visto, un test durissimo per noi. Farà un lavoro incredibile con gli Spurs, speriamo di batterlo quando andremo a trovarlo”. E l’apprezzamento è ricambiato. In una delle sue prime interviste post partita in Premier, Big Ange si è trovato a confrontarsi con Gary Neville, ex capitano del Manchester United e apprezzato commentatore televisivo. A questi, che gli faceva notare il curioso movimento dei suoi terzini che, in fase di possesso, andavano a rimpolpare il centrocampo, ha risposto così: “Beh, non ho semplicemente copiato Pep!”.
H come Hellas, la Grecia, sua patria d’origine e costante porto sicuro. Da qui è partito, da ragazzo, e qui ha sentito di dover tornare ad allenare. Lo ha fatto però a modo suo, andando a prendere le redini nel 2008 del Panachaiki, squadra di terza divisione. Sì perché il Tottenham non è il suo secondo club europeo, dopo il Celtic. C’è quest’avventura durata 9 mesi che, anche in questo caso, mescola racconti e leggenda. Ma come c’era finito Postecoglou nel calcio greco di bassa leva?
Un suo vecchio amico, anche lui greco-australiano, un certo Gianni Makris finanziava questo piccolo club e, quando serviva un allenatore, ha fatto il suo nome. Ange arriva a marzo e rimette in sesto la squadra per la prossima stagione. Il Panachaiki vola con i soliti segreti: pressing e possesso, quanto basta per essere secondi in campionato nell’inverno del 2008. La promozione è alla portata ma decide di andarsene. Era arrivato un altro investitore e voleva portare i suoi giocatori e il suo allenatore. Per Postecoglou non ci sono i presupposti per continuare. Come rivelato al Guardian da Andreas Samaris, giocatore di quella squadra e poi protagonista di una discreta carriera professionistica, l’intera squadra si guardò reciprocamente e scoppiò a piangere all’annuncio del suo addio.
I come Italia, quella che sta contribuendo alle fortune del Tottenham. La capolista ha infatti in forza due giocatori italiani: Destiny Udogie e Guglielmo Vicario ed entrambi sono stati inseriti nella top 11 della Premier per questo inizio di stagione.
Il terzino è un tuttofare per gli Spurs. Corre, lotta, sfreccia sulla fascia e viene a giocare in mezzo al campo. Solo tre giocatori in questa Premier League hanno registrato più contrasti di lui. È sempre presente ha già sfornato 2 assist e si è guadagnato la prima maglia azzurra. Postecoglou ha detto di lui: “Sta giocando alla grande, ci sta dando quello che chiediamo ai nostri giovani: la voglia di spaccare il mondo. Gli abbiamo spiegato che dovevano andare in campo liberi, che il loro futuro al Tottenham non sarebbe cambiato al primo errore, che dovevano giocare cercando sempre di mostrare quello che sapevano fare. Destiny lo sta facendo meglio di altri. È un giocatore dominante sul suo lato del campo”. Il portiere non è da meno e vanta la più alta percentuale di parate in tutto il torneo, è al solito un gatto tra i pali e si è inserito alla perfezione anche nel meccanismo di costruzione dal basso del Tottenham. In tanti chiedono che prenda addirittura il posto di Donnarumma in Nazionale. Due acquisti centrati.
J come Journey, quindi viaggio, come il suo, partito dall’Australia con direzione Londra. La carriera del Postecoglou giocatore comincia a nove anni col South Melbourne Hellas, il club fondato dagli immigrati greci nella città australiana. Ci arriva, come naturale destinazione, a nove anni. Parte dal settore giovanile e arriva alla prima squadra. Ci gioca per nove anni, vincendo due campionati, arrivando anche in nazionale con 4 presenze e a giocarsi anche il Mondiale per Club nel 2000, contro – tra le altre – il Manchester United.
Un infortunio gli stronca la carriera a 27 anni e apre la seconda parte della sua vita calcistica, quella da allenatore. Allena il suo South Melbourne prima di entrare nel giro della federazione australiana e guidare nei successivi otto anni le selezioni Under 17 e Under 20. Dopo la parentesi greca, il grande salto al Brisbane Roar. Sotto la sua guida, la sua creatura diventa quella che ancora oggi è da molti considerata come la migliore squadra mai vista nel calcio australiano. Straccia tutti i record qui, compresa una striscia di 36 partite senza sconfitte che porta a un inevitabile vittoria in campionato. Il suo Brisbane Roar, portato alla ribalta nel continente e a due titoli (?), gioca un calcio talmente bello e innovativo da meritarsi il soprannome di Roarcellona. Un passaggio quindi al Melbourne Victory prima del passo successivo e inevitabile: la nazionale.
Da ct dell’Australia compie dei miracoli sportivi che gli valgono l’introduzione nella Hall of Fame del calcio australiano come allenatore più decorato della nazione con 4 titoli. E quando i suoi non giocano come vuole, glielo fa presente. Si dice che, durante un intervallo di una gara poco brillante, abbia scosso le coscienze dei suoi giocatori australiani spaccando in due una tv negli spogliatoi. Leggende a parte, prende i Socceroos e li porta alla vittoria della Coppa d’Asia del 2015, il primo titolo del Paese fuori dall’Oceania. Prima li aveva qualificati ai Mondiali 2014 e a quelli del 2018, niente fase finale però per lui a causa delle sue dimissioni arrivate poco prima del via per screzi con la Federazione. Nel suo staff trovò spazio anche Harry Kewell, una delle leggende del calcio dei Canguri. Gli staff… anche in quelli Postecoglou è peculiare. A differenza di tanti altri allenatori, lui non ha assistenti fissi che lo seguono, anzi cerca sempre collaboratori nuovi e giovani che possano presentargli idee innovative e fresche, come fatto col Celtic. Al Tottenham, dove è diventato il primo manager australiano nella storia del campionato, ha voluto cinque assistenti tutti trentenni, alla loro prima esperienza con lui.
K come Kane, il capitano, il leader, la storia del Tottenham. Qualcuno si è accorto della sua partenza? L’inglese continua a segnare a grappoli anche al Bayern Monaco ma, pur non sostituendolo con un altro bomber, il Tottenham non ne sta sentendo la mancanza. Eppure nella passata stagione aveva realizzato il 42,9% dei gol della squadra. “Prima o poi c'è il rischio di sentire quel vuoto. Stiamo ancora cercando di sostituire in campo quello che probabilmente è il più grande giocatore che questo club abbia mai avuto. Finora ce la siamo cavata bene", ha detto l’allenatore. A prenderne il posto è stato Son, non più seconda punta o ala, ma numero 9 a tutti gli effetti. E i 6 gol attuali – è dietro solo a Haaland – sono un buon biglietto da visita. “Una delle ragioni della nostra scelta sul mercato è stata proprio questa. Nella mia testa, Son poteva fare questo ruolo con le sue caratteristiche. Anzi è l’attaccante ideale per il modo in cui giochiamo. Ci sono tantissimi bravi giocatori in giro per il mondo e talvolta le differenze tra loro sono davvero minuscole. Prima di acquistarli cerco di immaginarmeli nella mia squadra. Hanno le caratteristiche giuste e di cui ho bisogno per il mio modo di giocare? Se mi rispondo di sì, allora li prendo”, ha chiosato sull’argomento.
L come Liverpool, la squadra che ha sempre tifato e che ha battuto per prendersi la vetta. Da rifugiato in Australia, le partite della Premier League erano un must per gli uomini della famiglia Postecoglou. Di sabato si guardava il calcio inglese in tv. E tra gli anni Sessanta e Settanta due erano i team che dominavano la scena. Il Manchester United, amato da praticamente tutti gli amici di Ange, e il Liverpool, la squadra che lui aveva scelto, da anticonformista. Il modello era Bill Shankly, leggendario coach, celebrato anche da una statua nei pressi di Anfield. Ange aveva il suo poster in camera, insieme a quello di Keegan, il bomber, l'idolo di una vita, e di Fonzie di Happy Days. Destino vuole che, anche grazie a un successo contestatissimo – per un evidente errore arbitrale – quello stesso ragazzo tifoso del Liverpool ora si sia preso la vetta della Premier.
M come metafore, quelle divertenti e strane che continua ad usare nelle sue conferenze. Novello Ted Lasso, l’allenatore fittizio (impersonato da Jason Sudeikis) protagonista della nota serie tv, e a cui è stato più volte accostato, Postecoglou riserva sempre coloriti paragoni quando parla ai media. E spesso riguardano la moglie… Come quando gli chiesero di come avrebbe speso i 100 milioni di Kane, facendo riferimento a una somma che bruciasse nel suo portafoglio. “Non ho mai soldi che brucino nel mio portafoglio. C’è mia moglie che fa un ottimo lavoro a non farceli restare a lungo lì. Il problema è che si merita di spenderli. Il sostituto di Kane? Sempre mia moglie mi dice che se cerchi in giro una borsa costosa, spesso ti ritrovi con un falso. Ecco perché non abbiamo preso giocatori al suo posto, non ce n’erano come lui e il nostro obiettivo era rendere la nostra squadra migliore, non prendere un suo sostituto”. Altra grande protagonista delle sue battute in conferenza stampa è la sua forma fisica, non proprio delle migliori. “Una delle cose in cui credo è che, se sei un vegetariano convinto, non è che se sei affamato, allora entri nel primo McDonald che vedi, no?”, ha detto sempre rispondendo alle mille domande estive sul rimpiazzo di Kane. Ma la sua dieta è da sempre un suo cavallo di battaglia. Quando era ancora allenatore del Celtic e la sua squadra era stata inserita nell’urna 2 (in inglese Pot, traducibile anche come piatto) dei sorteggi dell’Europa League, disse: ‘Siamo nel pot 2? Guarda, io devo stare fuori dalle cucine quindi non so, ti posso dire che i pots (i piatti) non sono il mio forte…”
N come nuovi. La spina dorsale del suo Tottenham è tutta nuova. In porta brilla Vicario, al centro della difesa c’è Van de Ven, gigante olandese arrivato via Wolfsburg e pagato a peso d’oro. La scintilla invece l’accende Maddison, pound per pound, il migliore acquisto della sessione estiva inglese. Inventa, segna, esulta con le freccette: l’ex Leicester si è calato alla perfezione nel nuovo team e dimostrato come appartenga più a questo livello che a quello cui lo ‘obbligavano’ le Foxes. Ma non di soli acquisti è fatto il Tottenham di Ange. La mediana infatti è uno dei punti di forza della squadra – capace di vincere 4 delle prime 5 in campionato – ed è fatta da due ‘recuperi’. Bissouma e Pape Sarr hanno avuto storie diverse nel club accomunate però dagli scarsi risultati. L’arrivo dell’ex Celtic ha rivitalizzato i due, ora uno dei segreti di Pulcinella del super avvio degli Spurs.
O come Owen, ma non c’entra il Wonder Boy. L’Owen che venera Postecoglou è un giovane tifoso del Tottenham, affetto dalla sindrome di down. Il ragazzino è balzato alle cronache dopo una sessione di domande che l’allenatore ha tenuto con i suoi tifosi. Finito il tempo utile per le domande, il conduttore ha fatto cenno di voler chiudere il programma ma Ange si è accorto di quel ragazzo con la mano alzata e tanta voglia di chiedergli qualcosa. Nono non chiudiamo, c’è un’altra domanda da quel giovane ragazzo lì. Anzi, secondo me lui ha la migliore delle domande da farmi”. E Owen lo ha incalzato così: ‘Caro Ange, quanto vincerete in questa stagione?”. “Faremo il nostro meglio. Tutti noi che lavoriamo in questo club sappiamo cosa significa questa squadra per voi tifosi. Il nostro ruolo è quello di provare a rendervi felici e orgogliosi ogni volta che scendiamo in campo. Questo è quello che posso prometterti e che faremo”, la risposta. Parole sentite e che, ancora una volta, hanno accolto il consenso di tutti gli appassionati di calcio in Inghilterra, non solo di quelli legati ai colori del Tottenham.
P come Puskas, il suo imprevedibile e imprevisto mentore. Quando Ange infatti vestiva la fascia di capitano del South Melbourne, l’allenatore per tre anni dal 1989 altri non era che il più grande giocatore magiaro di ogni tempo – e uno dei migliori di sempre. Stiamo parlando di uno capace di 242 gol in 262 gare col Real Madrid e di un totale di 511 reti in 533 presenze, se ci aggiungiamo anche quelle con l’Honved. Cosa ci faceva in Australia?One of the most heartwarming videos you will see today ❤️⚽️
— KEEPUP (@keepupau) September 21, 2023
Ange Postecoglou went out of his way at a @SpursOfficial fan Q&A session to make sure a young fan got to ask his question.
An incredible manager, but an even better person. pic.twitter.com/NrYCRiXMtD
Allora 61enne, l’ungherese era stato chiamato a guidare una modesta squadra giovanile di Melbourne, il Parkmore SC. A capo di questo club del sud est della città, c’era un ambizioso magnate suo connazionale, tale Biritz, che voleva creare una super squadra con i giovani talenti australiani da rivendere poi sul mercato. Tra i due finì male presto e Puskas si ritrovò in Australia, senza lavoro. Fortuna volle che due genitori di due ragazzi di questa squadra fossero membri del board del South Melbourne e proposero all’ex grande campione di continuare la sua avventura nel loro club. Detto, fatto. Puskas si presentò al campo del South Melbourne e iniziò ad allenare quei ragazzi che non avevano la minima idea di chi fosse stato quel signore ormai attempato ma dal grande tocco quando li aiutava negli allenamenti. Tra i beneficiari della situazione ci fu anche Postecoglou. Ferenc non sapeva una parola d’inglese e se la cavava meglio col greco. Ange lo capì e prese a fargli da tornante, megafono in campo, autista, guida, traduttore e capitano.
"Avevo 24/25 anni all’epoca. Eravamo un gruppo giovane ma lui riuscì a instillare in noi il fatto di non avere mai paura. Non temevamo di perdere o di fare errori, voleva che amassimo il calcio e ci divertissimo a giocarlo. Di lui mi porto questo insegnamento. Quello che ci ha passato non era tanto quello che ci portava come allenatore, ma la sua filosofia di vita. Era stato tra i più grandi eppure aveva avuto momenti di grande difficoltà. Ci spingeva a giocare sempre la palla per terra, a gioire del calcio, a segnare e amare questo sport’, ha detto del suo mentore. Ma le storie di Puskas in Australia sono storie leggendarie in una traiettoria di vita, quella di Postecoglou, che già da sola vale libri e film. D’altronde se si gira nei paraggi dell’Olympic Park di Melbourne ci si può imbattere proprio in una piccola statua di Puskas e, senza il giusto contesto, si rischia di finire sorpresi. Ange e i suoi ex compagni dell’epoca raccontano delle cene luculliane di quell’ottima forchetta di Puskas, di suoi acquisti improvvidi sul mercato e di quanto pensò di contendere alla Juve un certo Pedersen. ‘Fatemi fare un paio di telefonate, chiamo il loro presidente e gli dico che questo giocatore sarà nostro, non loro. Peccato però che si stesse parlando di acquistare un giocatore del Brunswick Juventus, club australiano, ben diverso dalla Vecchia Signora.
Q come Quattro anni, la durata del suo contratto firmato in estate. Eppure Postecoglou non era la prima scelta, e neanche la seconda. Il presidente Levy aveva incassato una sfilza di rifiuti da far impallidire anche il più incallito degli aspiranti Casanova. Slot, Nagelsmann, Pochettino, Kompany, Luis Enrique, De Zerbi e chissà quanti altri avevano preferito non incrociare le proprie strade con il club del nord di Londra. Il Tottenham era una sfida persa in partenza. Nessuno voleva una squadra reduce da una stagione con 14 gare perse in Premier e che non avrebbe giocato le coppe (come non succedeva dal 2010).
R come Ragazzi, i suoi ragazzi. Nell’ormai lunga carriera, è davvero arduo trovare un singolo giocatore che abbia mai parlato male di Postecoglou. Succede quando ti trovi di fronte una persona schietta che tende a creare rapporti sinceri e senza sovrastrutture. Sta succedendo anche al Tottenham. Uno dei suoi motti è 'Se qualcosa non funziona, la colpa è mia. Voi giocatori, giocate. E fatelo senza nessuna paura, scendete in campo e giocate’.
Dejan Kulusevski ha detto di lui: ‘È un allenatore che vuole le responsabilità e che porta un’energia che questo club necessitava. Si interessa sempre a me e ha nuove idee, sono felice di averlo’. Per Cristian Romero, ‘con lui niente è impossibile’. Joe Hart, che lo ha avuto al Celtic, lo ha definito ‘il miglior allenatore mai avuto’. Bissouma si è visto rivoltare la carriera come un calzino da Postecoglou. Mr Calm ha raccontato una vicenda divertente sul centrocampista: “L’ho strattonato e gli ho detto. Tu puoi essere un leader di questo gruppo, l’ho capito da come ti sei allenato nelle prime 3-4 sessioni di allenamento. Poi però il giorno dopo è arrivato in ritardo. Gliel’ho fatto notare e da lì in avanti è stato inappuntabile”. Anche Richarlison ha goduto delle sue cure. Il brasiliano ha parlato con i media della sua situazione psicologica e della necessità che sente di farsi aiutare. E ha avuto subito al suo fianco il neo allenatore. “Gli daremo qualsiasi cosa di cui avrà bisogno. Lo aiuteremo, gli daremo tutto lo spazio e il supporto che vorrà. Lo facciamo con tutti i giocatori. Nessuno ha una vita perfetta. La gente crede che i calciatori se la spassino grazie alla fama e ai soldi ma questo non ti rende immune alla vita”.
S come St Totteringham's Day, il giorno, la festività più odiata dagli Spurs. Con questo nome infatti si segnala il giorno in cui, numeri alla mano, diventa matematico il fatto che il Tottenham non possa più arrivare davanti all’Arsenal nella classifica della Premier. Non una certezza, chiaro, ma un’evenienza capitata tante, troppe volte secondo i vecchi abitanti del White Hart Lane. La ‘festività’ pare essere nata nel 2002 ed è diventata poi di dominio pubblico nel 2010 come sublimazione della rivalità tra i due club del nord di Londra. La prima sfida ha portato un pari: per i tifosi del Tottenham può essere un buon primo step in un confronto che li ha visti soccombere con costanza.
T come Tattica. Perché è nel campo che Postecoglou fa e dovrà fare la differenza. Il suo calcio si basa su un 433 ma è fluido, offensivo, di flusso. Le sue squadre attaccano con e senza la palla, pressano sempre alto e vanno a velocità elevate per gran parte dei 90 minuti. Dicono di lui che sia ‘ossessionato’ dalla velocità e dal fatto che i suoi corrano di più e meglio degli avversari. Vuole avere la palla, vuole che i suoi abbiano sempre numerose opzioni di passaggio e giochino un calcio proattivo. Chi siano gli avversari per lui conta poco.
Ma come gioca il Tottenham? Con un pressing costante sugli avversari per cercare di recuperare la palla il più avanti possibile. Con un sistema di triangoli sulle fasce che permette di avere sempre una traiettoria di passaggio libera, pur non disdegnando folate palla al piede degli uomini deputati (Udogie su tutti). Costruisce dal basso con un poligono e con i giocatori che, anziché allargarsi, creano una concentrazione nella fascia centrale del campo, per essere l’uno d’aiuto all’altro ed evitare errori. I giocatori non si spostano come quelli del City del citato Guardiola, non creano nuove posizioni intermedie ma aspettano la palla in determinate zone codificate dove sanno cosa fare e come rendersi utili alla squadra. L’unico che ha carta bianca in questo preciso meccanismo è Maddison, il giocatore più importante della squadra. A lui è affidato il compito di inventare, distruggere i piani, arretrarsi anche se lo ritiene necessario per creare gli spazi necessari da attaccare senza palla. Quella arriverà grazie alle sue imbeccate che già tante occasioni da gol hanno creato per gli Spurs capolisti. “Ai miei calciatori dico che, se c’è spazio, devono attaccarlo senza paura, dimenticandosi del loro ruolo. Devono seguire il loro istinto, gli altri sanno come coprirli”, ripete spesso.
U come Umiltà. Come quella che lo ha sempre contraddistinto e lo permea nei rapporti con i giocatori e i media. Il suo personaggio è franco, schietto, pacifico, di quelli che unisce e non divide. Chiaro che essere arrivato al grande calcio solo dopo una gavetta interminabile ne abbia influenzato la visione del calcio e della vita. “È stato deprimente per gran parte del percorso. Ho lavorato in questo ambiente per 25 anni – ha detto a Bbc – non avrei mai pensato di poter arrivare qui ma non perché sia umile o modesto. E neanche perché non creda di essere bravo. Semplicemente nessuno guardava mai nella mia direzione, nessuno mi vedeva. Quando ero al South Melbourne, volevamo sollevare gli spiriti delle famiglie di estrazione greca in Australia. Dare loro una gioia in una vita difficile, una vita fatta di razzismo e in cui eri semplicemente ‘altro, straniero’. E quando sono arrivato al Celtic… Anche lì quando sono stato annunciato come allenatore sembrava più uno scherzo, una barzelletta. Mi prendevano in giro. I veri tifosi del Celtic però mi hanno difeso e trattato come uno di loro. Lo scetticismo generale avrebbe reso il mio lavoro ancora più complicato ma, mentre altri cercavano di ridicolizzarmi, loro sono rimasti con me, con la persona che rappresentava il loro club. E li ringrazierò sempre”.
V come Vincere. Perché, si sa, gli allenatori vengono giudicati per i punti che fanno, più che per come li fanno. E al Tottenham l’astinenza dura da troppo. In uno dei suoi appelli ai tifosi, Postecoglou he detto: “Hanno aspettative troppo alte? No, no, assolutamente. Lasciateli sognare, lasciateli divertire. Il mio ruolo qui non è quello di placare gli animi, di ridimensionare le speranze. Lasciateli emozionarsi, è questo il bello di essere tifosi. Hanno avuto fin troppe delusioni, si meritano un po’ di felicità e di godersela nel modo in cui ritengono più giusto. Se pensano che vinceremo tutte le partite, bene. Toccherà a noi metterci al passo con le loro aspettative”, ha detto. Una boccata d’aria fresca rispetto alle stantie dichiarazioni di certi tecnici che parlano col pilota automatico.
W come Williams, Robbie Williams. Perché se “The world best entertainer” ti dedica una canzone significa che un po’ ce l’hai fatto. Il cantante – e super tifoso del Port Vale – ha riarrangiato la sua “Angels” per Ange. “We play the way we want to with Big Ange Postecoglou. It’s Big Ange Ball so you can keep your Pochettino, Conte or Mourinho”, ossia “Giochiamo come vogliamo col grande Ange Postecoglou. È il nostro Ange Ball, tenetevi pure Pochettino, Conte o Mourinho”. Magari non vincerà un Emmy, ma è già uno dei migliori cori mai creati per un allenatore.
X come la X che, trent’anni fa, ha messo sulla propria carriera. Postecoglou allora allenava i giovani del South Melbourne e, per arrotondare, aveva un odiato lavoro in banca. Come Sarri, quando intravide la possibilità che quello dell’allenatore potesse diventare il suo mestiere, la scelta è stata fin troppo facile. Nessun rimorso, nessun rimpianto.
Y come Yokohama Marinos, un’altra squadra portata al titolo in J League. È il 2019 quando arriva in Giappone e porta i suoi al primo successo in quindici anni. Il campionato giapponese gli apre la mente: scopre giovani ragazzi promettenti, li sponsorizza e ci scommette in prima persona. Al Celtic fa acquistare Hatate e sfiora l’ingaggio di Mitoma, prima che diventasse una stella del Brighton. Inaugura un canale diretto con il Sol Levante, crea una colonia tanto che al Celtic ancora oggi sono ben 5 i giapponesi in rosa. E si credeva avesse potuto portarne altri anche al Tottenham.
‘In Giappone ho toccato con mano un mondo diverso, ho cambiato il mio modo di pensare e vedere le cose. Vedi lanciare giocatori giovanissimi, appena usciti dall’Università e sono subito pronti. Ti viene da pensare che non ha senso aspettare così tanto in Europa. C’è tanto talento lì. Non posso accettare che i giocatori forti siano solo quelli che paghi 50 o 100 milioni di euro, anche in altri Paesi, come il Giappone, ci sono giocatori molto forti e, se guardi bene, ne trovi tanti e costano poco. Mi ricordo di quando affrontammo il Kawasaki Frontale. Noi eravamo i campioni in carica, loro buttarono dentro questi due ragazzini (Hatate e Mitoma) che ci fecero impazzire. Ho visto il debutto ufficiale di Mitoma, ero sulla panchina avversaria. Questo era appena arrivato dall’università, aveva appena chiuso i libri, scese in campo e ci distrusse. Non lo conoscevo per nulla e chiesi subito ai miei di prenderlo al più presto. Il talento è ovunque, non dobbiamo essere pigri”, ha detto ricordando la sua passata vita in Giappone.
Z come Zero, ossia quanto gli interessa di vincere un benedetto trofeo col Tottenham. “A me interessa il gioco, l’iniziare a costruire qualcosa di importante. I punti in classifica per ora sono secondari. Vincere qualcosa non può esasperare per questo club, dobbiamo essere più di questo. Anche dovessimo alzarne uno, non sarebbe abbastanza. Certo, qui vincere manca da tanto ma c’è la necessità di creare i presupposti per vincerne tanti in futuro, non solo uno. Voglio costruire un club che ogni anno lotti per alzare i trofei”. E se invece l’attesa fosse solo di qualche mese?