Redazione Calciomercato
Fenomeni in campo, deludenti in panca: da Nesta a Pirlo alla teoria del fantino/cavallo
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OUT - L'ultimo, in ordine cronologico, Sandro Nesta dal Monza. Poco prima di lui, alla Sampdoria, Andrea Pirlo. Fenomenali in campo - se non addirittura catalogabili in geni o maestri della disciplina - Nesta e Pirlo sono gli ultimi appartenenti a una 'generazione' di fenomeni che fatica, terribilmente, a trovare lo stesso spolvero anche con giacca e cravatta in panchina. Perché allenare non è come giocatore. E in fondo lo sa anche Filippo Inzaghi, che da tecnico - anche lui piuttosto mediocre in panchina - qualche tempo fa scherzava a distanza in un'intervista in cui c'era anche Raffaele Palladino: "Vedrai, quando ne avrai fatte 300 come me, quanti capelli bianchi". Questione di carisma. Intuizione. Idee. Tutte logiche che evidentemente non traslano automaticamente dal campo al bordocampo. E le esperienze, ormai, sono davvero molteplici, specie con giocatori che hanno segnato una generazione - quella di chi vi scrive queste righe - ma in panca hanno raccolto quasi solo delusioni. Ne abbiamo riassunte un po', così, a mo' di consolazione, in qualche modo, per raggrupparli tutti e farli sentire meno soli.
Alessandro Nesta: Fresco dell'esonero alla prima esperienza in A col Monza, la carriera del fenomenale ex centrale difensivo, un professore della disciplina in campo, non aveva brillato particolarmente nemmeno nelle serie minori. Un 8° posto in B al Perugia. Un 8° posto in B al Frosinone; poi l'esonero nella stagione successiva, sempre in B. Un 11° posto in B alla Reggiana. Insomma, Nesta non ha mai trovato nemmeno l'exploit.
Andrea Pirlo: Non va meglio, come detto, al 'maestro'. Maestro in campo, si intende. Decisamente meno, fuori. Catapultato da zero a tutto a prendersi in mano la Juventus, chiuse con un rocambolesco 4° posto e la vittoria in Coppa Italia nella sua prima da allenatore. Nonostante questo non riuscì a evitare l'esonero. È seguito un fallimentare tentativo al Fatih Karagumruk nel campionato turco, chiuso formalmente da una risoluzione consensuale volta a evitare imbarazzi e un 7° posto lo scorso anno alla Sampdoria nel campionato di Serie B. L'esonero poi di quest'anno, con la Samp, è frutto di un inizio stagione da dimenticare.
Fabio Cannavaro: Altro campione del mondo. Nonché Pallone d'Oro. Altro allenatore sfortunato, via, definiamolo così. In Cina ci sarebbero un campionato vinto e due secondi posti al Guangzhou Evergrande, prima dell'esonero nel suo quarto anno. Tornato in Italia e subentrato nel campionato di B a Benevento, fu esonerato nella stessa stagione dopo il non esaltante ruolino di marcia di 3 vittorie in 17 partite. L'ultima esperienza, in Serie A, a Udine, lo scorso anno: una salvezza raggiunta con due vittorie, tre pareggi e una sconfitta. Non abbastanza, evidentemente, per meritarsi ulteriore fiducia.
Filippo Inzaghi: Colui che alla fine, più di tanti campioni del mondo come lui appena citati, il mestiere lo fa davvero. Perché ormai sono una decina d'anni che Superpippo bazzica qua e là nella provincia italiana. E di quella big presa in mano all'esordio - il Milan - c'è lo sbiaditissimo ricordo di un fallimentare campionato chiuso al 10° posto. Da lì il bagno di umiltà e la gavetta, con una promozione dalla C alla B col Venezia. Il nuovo salto in A però, col Bologna, è ancora da dimenticare: esonerato dopo 21 partite di campionato in cui raccolse la miseria di due vittorie. E allora di nuovo il cambio di categoria, con la bella promozione dalla B alla A col Benevento, poi retrocesso però sempre sotto la sua guida nella stagione successiva. Da lì in poi, più ombre che luci. Esonerato a Brescia in Serie B. 7° alla Reggina in B. Subentrato ed esonerato lo scorso anno a Salerno, con il terzo e fallimentare tentativo in Serie A: 2 vittorie su 16 partite con i campani. Al momento, di nuovo, ci sta provando in B col Pisa, che per ora viaggia a ritmo da promozione. Una volta, del fratello Simone, da calciatore, si diceva: "Sì, discreto, ma quello forte è Filippo". Vale il contrario da allenatore.
Frank Lampard: Occhio perché il concetto di giocatore generazionale, si trasla anche all'estero. E in Inghilterra, con i fenomeni in campo che dai primi anni 2000 in poi hanno lanciato la Premier League nella sua dimensione globale, ci sono oggi allenatori molto, molto modesti. Prendete Lampard, ad esempio. Esonerato al Chelsea. Esonerato all'Everton, che con grande fatica si era salvato l'anno prima (e dove il buon Frank era arrivato da subentrato). Torna al Chelsea, sempre da subentrato, nel 2023, ma termina una stagione disperata al 12° posto. Ha deciso di riprovarci ancora da pochissimo. Da qualche giorno è il nuovo allenatore del Coventry, in Championship. In bocca al lupo a lui. E ai tifosi del Coventry.
Steven Gerrard: Che insieme a Lampard ha riempito l'immaginario del centrocampista inglese fortissimo, quello box to box che menava e segnava. La sua avventura da allenatore, a dirla tutta, era anche partita bene. Ai Rangers sembrava l'inizio di qualcosa di promettente: due secondi posti e un campionato vinto al terzo anno in panchina. Poi la risoluzione consensuale con gli scozzesi per provare l'avventura in Premier League, all'Aston Villa. Lì un 14° posto da subentrato e poi l'esonero nella stagione successiva, con 2 partite vinte su 11. Oggi ha scelto l'esilio in Arabia Saudita, all'Al-Ettifaq. Ha chiuso 6° lo scorso campionato. Non benissimo.
Wayne Rooney: C'è chi sta peggio però sia di Lampard che di Gerrard. È il leggendario Wayne Rooney, meraviglioso attaccante del Manchester United di Sir Alex Ferguson. Alla prima esperienza da allenatore, al Derby County, una 'bella' retrocessione dalla Championship alla League One (l'equivalente della nostra Serie B-->Serie C). Rooney tenta così fortuna in America. Ma la traversata dell'Atlantico porta in dote una stagione e mezza di risultati scarsi al D.C. United, in MLS. Torna così in Inghilterra. Ma le cose precipitano. Lo scorso anno, sempre in Championship, subentra e viene poi esonerato dal Birmingham City: 2 vittorie in 15 partite. E così riparte dal Plymouth. Non volete sapere come sta andando, credetemi. Rooney è tristemente ultimo sulle 24 che compongono la B inglese: 4 vittorie, 6 pareggi, 11 sconfitte. Non tira una bella aria.
Thierry Henry: Sul campo, con Rooney, si contendevano i titoli. Arsenal contro United, United contro Arsenal. Ci ha provato anche il francese, a fare l'allenatore. E se oggi lo vedete pundit di successo alla CBS un motivo c'è. Anche Henry infatti, da allenatore, ha raccolto briciole. Subentrato e subito esonerato nel suo primo tentativo al Monaco, in Ligue 1: 2 vittorie su 12 partite. Non è andata meglio, nemmeno per lui, Oltreoceano. In MLS, ai Montreal Impact, Henry chiuse la Regular Season al 18° posto, frutto di 10 vittorie, 5 pareggi e ben 22 sconfitte. Un ultimo shot l'ha fatto in estate, quando gli hanno chiesto di guidare la Francia nel torneo olimpico di casa. Ha perso in finale. 5-3 dalla Spagna.
Insomma, tutti questi fenomeni generazionali ci hanno provato. Senza successo. Ma non ha di che rammaricarsi, il buon Nesta, ultimo degli epurati. Basti guardare due dei più grandi della storia del gioco. Marco van Basten, dimessosi dall'Ajax e con due 'tristi' piazzamenti - 8° e 5° - nelle due stagioni all'Heerenven; e non gli andò meglio in nazionale, con gli Oranje sotto la sua guida eliminati agli ottavi del Mondiale 2006 e ai quarti dell'Europeo 2008. E poi lui, il più grande, Diego Armando Maradona. Un 8° e un 3° posto nel temibilissimo campionato degli Emirati Arabi Uniti. E poi la beffa degli spareggi promozione della seconda serie messicana, dove i suoi Dorados si fermarono sul più bello, rimanendo così in 'Serie B'. Concluse, con i club, con il non leggendario 19° posto del Gimnasia, quando subentrò nel 2020. In Nazionale il suo cammino fu altrettanto tormentato. Salvato da Martin Palermo con quel gol, contro il Perù, nella piscina del Monumental, arrivò al Mondiale 2010 con fatica e lo terminò ai quarti di finale. In una selezione argentina con più talento che mai e un Messi già esploso da un paio d'anni.
E questi sono solo alcuni dei più forti. E alcuni dei più recenti. Ne avremo sicuramente dimenticati tanti altri, più in là nel passato. Perché alla fine, quel che conta, è che la 'teoria Sacchi’ è valida anche all'inverso: non bisogna essere stati dei campioni per diventare un buon allenatore, ma essere stati dei campioni non fa in automatico dei grandi allenatori.
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Non è una regola e soprattutto quando vengono lanciati senza opportuna gavetta rischiano di fare...