Felice Pulici anima della Lazio: lo consigliò Piola, doppia gioia scudetto
Anche Highlander può subire una sconfitta e Felice l’ha patita dopo 73 anni di lotta, a cominciare dalle origini umili di una famiglia operaia per finire in un letto d’ospedale che avrebbe dovuto lasciare il giorno dopo l’improvviso cedimento del suo fisico. Highlander, un uomo di ferro, al quale le statistiche riconoscono un record difficilmente eguagliabile di sette campionati senza mai saltare una partita, dal 1970 al 1977, due nel Novara e cinque nella Lazio, 126 volte in campo, crisi depressive per i suoi vice.
Eppure quando nell’estate del 1972 sbarcò a Roma con la sua valigetta di finta pelle, fu accolto con molti sopraccigli alzati: veniva dalla B, col Novara era stato il portiere più battuto dopo quello del Modena, dalla Lazio all’Olimpico aveva preso cinque pallini. Eppure a consigliarlo a Lovati fu Silvio Piola, cuore laziale, una garanzia. Divenne ben presto laziale nell’anima, nella faida fra le due fazioni (Chinaglia-Wilson da una parte, Re Cecconi-Martini dall’altra) era l’equilibratore, partecipando al primo ma come ambasciatore di pace. Di Maestrelli divenne il braccio destro, riconoscente e fedele. Della squadra dello scudetto una saracinesca a doppia mandata, con il record tuttora imbattuto di 16 gol incassati nel torneo 72/73. Della Lazio il salvatore quando tornò a “casa” nella sua ultima stagione 81/82. Con Chinaglia presidente guidò l’amministrazione di una società traballante, di Cragnotti era l’esperto legale grazie alla laurea in giurisprudenza ottenuta nel 1982 mentre allenava la Primavera.
Lazio e famiglia. Sua moglie Paola diede alla luce il secondo figlio, Gabriele, mentre Felice era in campo nella partita col Foggia, decisiva per lo scudetto. Un parente telefonò da Sovico nello spogliatoio mentre la squadra stava andando in campo. Angelo Tonello, dirigente, raccolse la notizia: “Mi faccia chiamare”, gli disse la voce lasciando il numero. Tonello non volle turbare l’animo del giocatore, attese Felice nello spogliatoio in festa. Nella fretta Pulici infilò le scarpe di Gigi Martini e corse all’aeroporto. Dopo più di dieci anni ritrovò dentro una cassapanca la maglia indossata quel giorno di gloria, con uno sbaffo di gesso bianco su una manica: non ha mai saputo chi gliel’avesse conservata. Gli ultimi anni Pulici, cattolico praticante, li ha spesi dedicando la sua esperienza di dirigente sportivo ai più bisognosi: i bambini di suor Paola, l’associazione Nazionale per lo Sport dei sordomuti. Non è un santo, non lo è mai stato: era un grande sportivo e un grande signore.