Sono loro la migliore candeggina in circolazione, quella che trovi al bancone dei campi di provincia; sono uomini che ripuliscono il pallone dal marciume che lo circonda, che lo portano in giro come potrebbero fare bambini privi di ogni forma di malizia.
Non toccano la sfera alla Zidane, non hanno il portamento alla Maldini, ma ogni loro calcio al pallone è ossigeno puro per il movimento. Personaggi che aiutano a renderlo migliore e non c'è bisogno di ricordare quanto ce ne sia bisogno. Sono giocatori come Simone Farina e Marco Zambelli che fanno omaggio a Lucio Dalla diventando ambasciatori di quella strofa che ricorda come al giorno d'oggi «l'impresa eccezionale è essere normale».
Certo la normalità che fa notizia accende la spia e dice che qualcosa non va. Qualcosa? Troppo non va se bisogna continuare a premiare un ragazzo di 29 anni che oppone un secco no ad un ex compagno di squadra che gli propone tanti soldi quanto il biondino in questione, Simone Farina, panchinaro del Gubbio, ne guadagna in un anno: 60mila euro. C'è quantomeno qualcosa di strano anche in chi, più o meno in malafede, prende in giro un compagno chiamandolo «Don Marco» perché appena ha un momento libero corre a fare beneficenza o addirittura lo apostrofa come «un povero pazzo» se continua a rifiutare contratti più ricchi, palcoscenici più importanti per soddisfare un bisogno personale e una promessa fatta a mamma e papà quand'era sul lettino per la quarta operazione alle ginocchia: «Mi rialzerò anche stavolta e un giorno diventerò il capitano del Brescia». Marco Zambelli l'ha detto. Marco Zambelli l'ha fatto. Simone Farina non ha avuto invece bisogno di dire nulla. Ha fatto ciò che dal muscolo più prezioso una vocina gli suggeriva fosse più giusto. Quando Alessandro Zamperini, con il quale aveva condiviso magnifiche utopie nel settore giovanile della Roma, gli ha messo sul tavolo «una proposta che non si può rifiutare», lui non ha pensato al Suv che finalmente avrebbe potuto farsi piuttosto che continuare a girare con la solita utilitaria, ha gettato in faccia allo pseudo amico quei soldi sporchi e ha denunciato tutto facendo partire la seconda tranche dell'indagine di Scommessopoli. Ha parlato, perché l'omertà è meglio lasciarla ai mafiosi. Sì, anche quelli del calcio. Zambelli non ha certo gettato in faccia a Tommaso Ghirardi quei soldi, quei molti più soldi che il Parma gli avrebbe garantito quando il Brescia non riusciva a cavare un ragno dal buco rimanendo impantanato nella palude della serie B. Ha sorriso, ringraziato, rilanciato: «Prima devo giocare almeno 5 minuti in serie A con la squadra della mia città. Poi, magari, ne riparliamo». Ben sapendo che non ne avrebbe mai riparlato. Perché nella testa di Marco Zambelli ci sono sempre cinque minuti in più da fare con la squadra della sua città. C'erano i cinque minuti da capitano, ci sono ora i cinque minuti da rifare in serie A. E poi, se un giorno ancora accadrà, ci saranno i cinque minuti in Europa e poi i cinque minuti da dirigente, i cinque minuti da allenatore. O semplicemente i cinque minuti da tifoso, senza altri impedimenti o pensieri. Non chiamatelo bandiera, chiamatelo semplicemente innamorato. Come lo è Farina del suo Gubbio. Dopo averlo portato dalla C2 alla B avrebbe mai potuto aiutarlo a perdere una gara di coppa Italia con il Cesena? Lunedì sera Gubbio-Brescia li potrebbe anche vedere duellare sulla stessa fascia, ma ormai da più di un mese Farina, dopo essere stato convocato da Prandelli per uno stage con l'Italia e premiato da Blatter durante la cerimonia del Pallone d'Oro, non si alza dalla panchina. Non gli pesa, come non pesa più di tanto a Zambelli la serie B. Sarebbe peggio avere in testa cinquantamila (o più) cattivi pensieri.