FALLO LATERALE se Mazzarri sciasse...
Quella fertile striscia di terra felice, che è la costa toscana, ne ha sfornati di allenatori. A vederseli sfilare davanti nelle postpartite televisive, compongono un’ideale galleria fisiognomica che non sarebbe dispiaciuta né al Lavater, né al Lombroso, massimi esponenti di quella “scienza” atta a illuminare i segreti del carattere dall’ espressione del volto e dall’ inflessione della voce. Via via derisa da neurobiologi e psicoanalisti, la Fisiognomica ogni tanto riemerge, assurgendo anche agli onori dello spettacolo televisivo, come testimonia la fortunata serie “Lie to me”, che tradotto, sarebbe “Mentimi”. Della nostra tosca galleria, oggi alcuni protagonisti si vedon e senton meno. Ma come dimenticare Nedo Sonetti, una faccia da oste tonante o quel geppetto postmoderno inclinante alla malizia di Agroppi? Poi su, fino a Buster Keaton Allegri, una maschera immobile e ipnotica, e a Marcello Lippi cow-boy argenteo statunitense. Tutti si sintonizzano sulle frequenze d’una parlata che potremmo definire larvatamente labronica, dalle vocali slabbrate, anche se l’unico livornese doc è Allegri, di cui ammirare un amplob degno d’una salamandra, l’anfibio urodelo capace d’attraversare il fuoco. Ognuno potrebbe essere descritto pescando da un tipo ideale, letterario, cinematografico, teatrale. Soltanto per uno della stessa schiatta costiera, i paragoni non sarebbero all’ altezza dell’ originale. E non cessa mai di stupirci, qualsiasi posizione la sua squadra ricopra in classifica.
Quell’ uno è Walter Mazzarri. Perennemente irrequieto, esagitato, scandalizzato… Salta, inveisce, lancia occhiate che sono dardi di fuoco. Spesso non si capisce perché. E’ una creatura indemoniata, ma anche avveduta se è vero che non è mai stato esonerato ed è l’artefice della manina sulla bocca per coprire il labiale. Se sciasse, Mazzarri sarebbe un liberista convinto, magari dallo stile discutibile; uno che sfiora gli alberi a 100 all’ora e esce dalle curve su uno sci solo, che urla pistaaaa anche se non c’è nessuno, ma che comunque in fondo ci arriva. Il problema è fermarlo: non bastan le reti dopo il traguardo, ci vuole il casotto di legno dove si ripongon gli scii. Centrerebbe anche quello, sfondando la parete come un cartone animato, lasciandosi alle spalle la sua sagoma vuota mentre vola verso l’infinito. L’hanno paragonato a Totò, di cui non possiede l’oltraggiosa arguzia, ma certo il sale sulla coda non se lo fa mettere da nessuno. O meglio, sembra sempre che questa sia la sua idea fissa. Anche quando è mesto e abbacchiato, aleggia in lui un brandello di ribellione, come se il mondo non gli bastasse e qualcuno volesse fargli le scarpe. E’ impavido e temerario, soprattutto quando non ce ne è bisogno. Fortunato non lo è, perché incappa spesso nei cortocircuiti del fato: l’Inter vince 7 a 0 col Sassuolo, poi viene pesantemente legnata dal Cagliari. Per essere stato allievo di Ulivieri, ha preso poco dal suo maestro. Se si dovesse ricorrere al concetto di stile, parleremmo forse di un naif-astratto, cioè d’una contraddizione in termini. Ma qui sta il suo miracolo: quello di essere elementare e disarticolatissimo. Monotono e scoppiettante. E soprattutto di riuscire, almeno per ora, a trattenere la bestemmia in diretta, che, imperiosa, sembra sempre sul punto di esplodere dalle sue labbra.