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    Eriksen: 'Ricordo tutto, ma non quei minuti in cui ero in paradiso. Ero morto, ho lottato per respirare'

    Eriksen: 'Ricordo tutto, ma non quei minuti in cui ero in paradiso. Ero morto, ho lottato per respirare'

    Attraverso i propri canali ufficiali il Brentford ha pubblicato un'intervista intitolata 'i minuti persi' con l'ex controcampista dell'Inter e della nazionale danese, Christian Eriksen, in cui il giocatore ha ripercorso i giorni del malore accusato in campo durante l'Europeo e che, per poco, non gli è costato la vita.

    NON DOVEVANO GIOCARE - "Potevo vedere il Parken dalla mia stanza e sentire gli applausi dal mio letto d'ospedale. Non avrebbero dovuto giocare, non dopo quel trauma. Non sapevo cosa fosse successo, non mi ero reso conto di cosa avessero visto". 

    I RICORDI - "Quando mi sono risvegliato ho sentito che i medici premevano su di me, ho lottato per respirare, poi ho sentito voci deboli e dottori che parlavano. Stavo pensando che non posso essere io quello sdraiato qui, sono in buona salute. Il mio primo pensiero è stato di essermi rotto la schiena. Posso muovere le gambe? Posso muovere le dita dei piedi? Piccole cose del genere. Ricordo tutto. Tranne quei minuti in cui ero in Paradiso. Quando mi sono svegliato dalla rianimazione, è stato come svegliarmi da un sogno, ero lontano. Di solito, ricordi frammenti di un sogno, ma non ricordo nulla di quando sono svenuto".

    ERO MORTO - "Quando il nostro cardiologo ha detto che avevo 30 anni, l'ho corretto e gli ho detto: 'Ehi, ho solo 29 anni!'. Ho ripreso conoscenza subito. Ricordo l'atmosfera. Il cordone intorno a me per proteggermi. Ho alzato lo sguardo e ho visto i fan cantare. Sono stato portato via in ambulanza, me lo ricordo bene. Fino a quel momento non mi sono reso conto di essere morto. Uno dei paramedici ha chiesto al medico della squadra: 'Per quanto tempo è rimasto privo di sensi?'. Il nostro medico ha risposto: 'Da tre a quattro minuti'".

    L'HO RIVISTO - "Ho rivisto quello che mi è successo. La prima volta è stata quando ero in ospedale. Erano passati un paio di giorni prima che vedessi la scena vera e propria in cui collasso. Mi ha infastidito un po'; non c'erano segni che ciò sarebbe accaduto, quindi perché è successo? È stata una cosa molto strana da affrontare".

    RITORNO IN CAMPO - "Volevo fare tutti i test e parlare con tutti i medici per vedere se ci fosse la possibilità di tornare a giocare. Ma da allora, credo che meno di una settimana dopo, mi hanno detto 'hai un defibrillatore, ma per il resto non è cambiato nulla, puoi continuare a vivere una vita normale e non c'è limite a ciò che vuoi fare'. È stato un sollievo, ma anche strano perché non volevo esagerare, non volevo correre rischi, quindi è per questo che sto facendo molti test per assicurarmi che vada bene. Quello che sto facendo ora non mi influenzerà tra 30 anni e quello era l'obiettivo principale. Se mi dicono che qualcosa è cambiato, allora sarà diverso. Non vedo alcun rischio. Ho un defibrillatore, se succede qualcosa sono al sicuro. Con quello non ci sono limiti; le persone possono correre maratone, fare immersioni profonde". 

    IL RITORNO IN CAMPO - "La prima chiamata è stata solo per salutarmi e chiedermi come stessi. Voleva sapere dove fossero i miei pensieri in termini di ritorno al calcio. È stata una buona telefonata e da lì la cosa è decollata. Abbiamo detto che ci saremmo tenuti in contatto per vedere cosa sarebbe successo. E' sempre lo stesso, ha gli stessi capelli di una volta (ride ndr). Per me è difficile ricordare quei giorni, ero molto, molto giovane, ma abbiamo avuto dei bei momenti e delle belle vittorie. All'epoca avevamo una buona squadra. Averlo ora come mio allenatore è come aver chiuso un cerchio. Sono felice che sia lui l'allenatore".

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