Effetto Scirea, il campione di tutti
Scirea (foto da www.giornalettismo.com) non appartiene soltanto alla Juventus, ai suoi tifosi, ai giornalisti (rivedere, risentire Sandro Ciotti che annuncia la sua morte) ai critici e agli storici. Appartiene, modestamente e grandiosamente, al senso di un’umanità esemplare.
Come dovremmo o vorremmo essere. E’ stato la summa aurea di un equilibrio perfetto: in campo e fuori. Elegante, corretto, essenziale e magistrale. Insostituibile nel gioco, ma assolutamente privo di ogni minima orgogliosa pretesa.
Scirea è stato il giocatore più geniale e francescano del calcio italiano (forse solo Di Bartolomei, se pur venato da una segreta vena di tragicità, gli si avvicina). Per questa ragione tutti, juventini e antijuventini, lo ricordano con grande commozione. E con nostalgia.
Scirea è il giocatore o meglio la presenza che più ci manca. L’incarnazione perfetta di ciò che i mistici medievali chiamavano lucus, il raggio di sole che penetrava le tenebre del bosco e ridava una speranza al viandante disorientato.
Non bastavano solo il talento, quell’ uscire dall’area a testa alta, o lo stile, quello stacco della corsa dettato da un metronomo celeste, a definire una natura e una persona unica. C’era in lui, qualcosa che lo trascendeva e di cui forse, come tutti i viventi toccati dal dio (Eupalla, Buddha, Cristo) non si rendeva conto.
Questo qualcosa ci faceva confidare non nella Juve, nella Nazionale, nelle sorti del calcio, ma in noi in quanto esseri umani. Non è spiegabile a parole, “intender non lo può chi non lo pruova”. Ma tutti quelli che hanno avuto la fortuna di averlo visto giocare o sentito parlare lo sanno bene. Indimenticabile. Insostituibile.