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Eder dalla Samp all'Inter visto con gli occhi di un procuratore di calciatori
E allora ecco che mi preparo confusamente, avvolto in un torpore tra sonno e veglia. Barba e capelli, colazione leggera, scelta del look più adeguato. Eh sì, perchè come scrivo nelle pagine del libro "Mollo tutto e divento procuratore sportivo", i procuratori sportivi, come le modelle, hanno a Milano le loro settimane per "sfilare". E' durante le cosiddette finestre di mercato (ve ne sono due all'anno, una nel periodo estivo e l'altra nel mese di gennaio) che i procuratori esibiscono abbronzature color carruba, capelli rigorosamente imbevuti di gel, scarpe controcorrente dai colori sgargianti e dalle forme dinamiche verso l'alto, gessati con le impunture in bella vista, cravatte improponibili, petti villosi o sapientemente rasati a seconda dell'imperar della moda, maniche delle camicie costrette in luccicanti gemelli d'oro, orologi dai quadranti estremi, occhiali dalle montature imbarazzanti, borselli a tracolla ritornati a fare proseliti dopo i fasti degli anni Settanta, ma di dubbio gusto estetico (seppure pratici e sicuri per via dei rigidi scomparti dove contenere ogni diavoleria tecnologica), collane e collanine, anelli e braccialetti, pochette in feltro nero o in lino bianco irlandese, e, per chiudere, foulard da collo a pois beige o grigio antracite. I procuratori - sottolineo in "Mollo tutto..." - sono uomini giovani, forti, moderni e alla moda che inseguono il successo in ogni dove, annoverando il successo tra i successi della loro vita. E' forse per questo che, inconsciamente, sono spinti a proiettare un'immagine di sé al di sopra delle righe, esagerata, incontrollabilmente narcisistica. Non me ne vogliano i miei colleghi, ma è da quando frequento le sale del calciomercato (a partire dal lontano 2001) che in quel di Milano, passeggiando per Corso Como, sostando all'Hilton, arrivando all'Atahotel o cenando da Giannino, assisto alla fiera delle vanità. E probabilmente ne ha risentito anche il mio stile, diventato negli anni ineluttabilmente più ricercato e aggressivo.
Ho scelto, quindi, un abito scuro, camicia azzurra, cravatta classica. Nessun orpello inutile. Sono pronto. Posso partire, in treno, con l'alta velocità. Da Reggio Emilia a Milano ci metto 40 minuti. Un viaggio che è un intramuscolare. Quando si arriva alla stazione centrale il calciomercato è già alla tua destra con la stazione alle spalle. Al Gallia, restaurato e tornato ai fasti di un tempo, puoi già aggirarti nella hall per scambiare i primi saluti con colleghi e direttori sportivi. Si scaldano solo i motori. Le trattative si instaurano, non si concludono. Ricordiamo che è l'Atahotel l'albergo ufficiale del calciomercato dove gli affari si perfezionano e depositano realmente. Ma molti operatori preferiscono giungere all'Ata con le idee già chiare. Idee e trattative che si dipanano in altri grandi Hotel di Milano. Torno sui miei passi. Al Gallia c'è ancora poca gente. Saluto qua e là, e mi dirigo all'Hilton dove ad aspettarmi c'è un mio-amico-collega che mi deve parlare di un "affare". Ci sediamo nelle poltroncine vicine alla reception. Tralascio i contenuti della conversazione, per ovvi motivi. Squilla il cellulare. Un altro collega mi invita a prendere un caffè. "Dove?" scrivo un sms.
"Al Principe di Savoia! Vieni subito! E' urgente".
Mi congedo dal collega dell'Hilton e cammino velocemente - proprio come gli uomini d'affari di Milano, passo spedito, sguardo verso l'infinito, e piglio deciso - verso Piazza della Repubblica, lungo la circonvallazione delle mura spagnole.
"Vieni all'Hotel Me" mi scrive dopo qualche minuto.
"Perchè al Me e non al Principe di Savoia" chiedo io, non avendo mai sentito parlare del Me.
"Perchè al Savoia ci sono troppi giornalisti e io non voglio farmi vedere e non voglio rilasciare interviste. Vieni al Me!". "Dov'è?" domando ingenuamente.
"E' attaccato al Principe di Savoia. Quando sali al decimo piano, qui non c'è nessuno" ci tiene a informarmi.
Arrivato.
Altro caffè, altri progetti, altre telefonate.
Dopo tre quarti d'ora scendiamo con l'intenzione di andare all'Ata e incontrare un ds, ma, ecco che appena fuori dal Me, siamo circondati da telecamere che sbucano da ogni parte.
Non sono rivolte a noi, tengo a precisare.
Ragazzi, sono arrivati il ds Osti e l'Avv. Romei. Le luci dei riflettori sono tutte per loro.
Morale della favola: all'Hotel Me si sta consumando presumibilmente la trattativa più calda, almeno fino ad ora, di questa sessione: il passaggio di Eder dalla Samp all'Inter. La scelta del Me come hotel per fare due chiacchiere in pieno relax si è rivelata fallimentare. Non si può più stare. Tocca andare via.
Giro al Michelangelo, doverosa sosta all'Ata, seppure furtiva. Oggi poi non c'è ancora tanto movimento. Tornerò domani.
La mia giornata volge al termine e tocca riprendere il treno dell'alta velocità per rincasare, avendo un appuntamento in serata dalle mie parti.
Alla biglietteria automatica non riesco a pagare con la carta di credito (ho dimenticato il pin). Stesso problema per chi tenta di fare il biglietto accanto a me. Lo osservo meglio. "E' lui o non è lui?" mi interrogo sottovoce. "Certo che è lui!" mi convinco. E' un grande procuratore, uno che di affari in vita sua ne ha fatti tanti. E' anche diventato un amico che stimo non solo come agente. I biglietti alla fine siamo riusciti a comprarli. Ci stupiamo reciprocamente di esserci trovati lì, uno affianco all'altro, quasi ne ridiamo. In una giornata intera di calciomercato non era capitato di incrociarci neppure di sfuggita. E, invece, al rientro a casa, eccoci vicini alla Stazione Centrale di Milano. Il suo nome non posso renderlo noto, ma so che lui leggerà questo pezzo, fino in fondo, curiosamente. Lasciandosi sfuggire un lieve sorriso, elegantemente intelligente.
Buon calciomercato a tutti!
Jean-Christophe Cataliotti - www.footballworkshop.it