E' la vittoria del Milan di Pioli: come nel 2007, un'altra partita perfetta e Ronaldo spettatore non pagante
Quando tutto sembrava perduto e il Milan sembrava rassegnato a veder sfumare la qualificazione alla Champions League nonostante un campionato eccezionale vissuto sempre tra il primo e il secondo posto, la squadra di Pioli ha tirato fuori dal cilindro quella che giustamente lo stesso allenatore ha definito la “partita perfetta”. Una definizione che inevitabilmente ha ricordato quella di Carlo Ancelotti dopo Milan-Manchester del 2007. E anche in quell’occasione Cristiano Ronaldo uscí dal campo come uno spettatore non pagante.
Stavolta le proporzioni della sconfitta della sua Juve sono ancora più clamorose, perché la squadra bianconera ha ormai un piede e mezzo fuori dalla prossima Champions League e in questo caso non c’entra nulla la sanzione dell’UEFA, furibonda per la Superleague. Nonostante il monte ingaggi da 237 milioni (60 dei quali sono di CR7), nonostante una rosa attrezzata per vincere in Italia e in Europa, nonostante sia nella TOP10 dei club calcistici a livello mondiale per quanto riguarda i fatturati, il fallimento di Andrea Agnelli e company assume le dimensioni di una catastrofe. E va molto al di lá delle colpe del solo Pirlo. Il Milan di Pioli con una partita umile e concreta ha ricordato alla Juve che cosa significa essere una “squadra”. Dentro e fuori dal campo.
Lo stesso insegnamento che i bianconeri avevano impartito al Milan di 10 anni fa, quando gli sfilarono prima lo scudetto, poi Tevez e infine, non a caso, riuscirono a mantenere inviolato lo Stadium fino a ieri sera. Il roboante 3 a 0 del Milan ribalta il 3 a 1 dell’andata e consente al Milan di eliminare la Juve dalla Champions anche in caso di arrivo a pari punti in classifica. Proprio il Milan che, suo malgrado e con grandi colpe, diede il la al ciclo dei 9 scudetti bianconeri, ha simbolicamente posto la parola FINE a questo ciclo bianconero che aveva fatto del “fino alla fine” il suo motto ispiratore. La prima Juve di Agnelli era meno forte del primo Milan di Ibra ma era più squadra. Questo secondo Milan di Ibra è nettamente meno forte dell’ultima Juve di Agnelli, ma è chiaramente più squadra. Lo ha dimostrato tutto l’anno e lo ha confermato, clamorosamente, nella vittoria dello Stadium.
C’è inoltre da dire che quella rossonera è una squadra che si è formata attorno al suo totem Ibrahimovic, ma che adesso ha un’identità propria, nel bene e nel male, di cui bisogna dare merito a Stefano Pioli. Quella di Torino non è stata la vittoria del Milan di Ibra, ma è stata la vittoria del Milan di Pioli. In molti avevano palesato scetticismo alla vigilia, quando il tecnico rossonero aveva scelto Brahim Diaz (che oltretutto molto probabilmente tornerá a Madrid e non giocherá nemmeno la Champions con il Milan) invece di Rebic o Leao. E invece il malagueño si è rivelato decisivo sia nel gol del vantaggio sia nel procurarsi quello che sarebbe potuto essere il rigore della sicurezza, poi fallito da Kessié. Infortunatosi Ibra, Pioli ha reinventato l’assetto offensivo dando vita a una squadra più propensa a chiudersi e a colpire la Juve negli spazi. E ha trovato il raddoppio con Rebic subentrato dalla panchina.
La ciliegina sulla torta è stato poi il gol di Tomori, che con Kjaer ha composto una coppia insuperabile per tutti i numerosi e costosissimi attaccanti bianconeri nel corso dei 90 minuti. Insomma quella del Milan è stata una vittoria “di squadra” che ha visto tutti protagonisti. E questa è una lezione per la Juve, ma anche un buon auspicio per Maldini che dovrà costruire il Milan 2021/22 considerando il fatto che il suo trascinatore svedese giocherá, nella migliore delle ipotesi, metà delle partite tra campionato e, adesso lo si può scrivere, Champions League. L’infortunio occorsogli è l’ennesimo della stagione e molto probabilmente costringerá Ibra a saltare due delle tre gare rimaste. Partite che peraltro non sono da sottovalutare perché, dopo aver compiuto l’impresa di battere la Juve, sarebbe davvero imperdonabile farsi sfuggire il meritatissimo ritorno in Champions contro Torino e Cagliari. Fortunatamente, se il Milan vincesse le prossime due, contro l’Atalanta a Bergamo l’ultima di campionato potrebbe anche perderla.
Stavolta le proporzioni della sconfitta della sua Juve sono ancora più clamorose, perché la squadra bianconera ha ormai un piede e mezzo fuori dalla prossima Champions League e in questo caso non c’entra nulla la sanzione dell’UEFA, furibonda per la Superleague. Nonostante il monte ingaggi da 237 milioni (60 dei quali sono di CR7), nonostante una rosa attrezzata per vincere in Italia e in Europa, nonostante sia nella TOP10 dei club calcistici a livello mondiale per quanto riguarda i fatturati, il fallimento di Andrea Agnelli e company assume le dimensioni di una catastrofe. E va molto al di lá delle colpe del solo Pirlo. Il Milan di Pioli con una partita umile e concreta ha ricordato alla Juve che cosa significa essere una “squadra”. Dentro e fuori dal campo.
Lo stesso insegnamento che i bianconeri avevano impartito al Milan di 10 anni fa, quando gli sfilarono prima lo scudetto, poi Tevez e infine, non a caso, riuscirono a mantenere inviolato lo Stadium fino a ieri sera. Il roboante 3 a 0 del Milan ribalta il 3 a 1 dell’andata e consente al Milan di eliminare la Juve dalla Champions anche in caso di arrivo a pari punti in classifica. Proprio il Milan che, suo malgrado e con grandi colpe, diede il la al ciclo dei 9 scudetti bianconeri, ha simbolicamente posto la parola FINE a questo ciclo bianconero che aveva fatto del “fino alla fine” il suo motto ispiratore. La prima Juve di Agnelli era meno forte del primo Milan di Ibra ma era più squadra. Questo secondo Milan di Ibra è nettamente meno forte dell’ultima Juve di Agnelli, ma è chiaramente più squadra. Lo ha dimostrato tutto l’anno e lo ha confermato, clamorosamente, nella vittoria dello Stadium.
C’è inoltre da dire che quella rossonera è una squadra che si è formata attorno al suo totem Ibrahimovic, ma che adesso ha un’identità propria, nel bene e nel male, di cui bisogna dare merito a Stefano Pioli. Quella di Torino non è stata la vittoria del Milan di Ibra, ma è stata la vittoria del Milan di Pioli. In molti avevano palesato scetticismo alla vigilia, quando il tecnico rossonero aveva scelto Brahim Diaz (che oltretutto molto probabilmente tornerá a Madrid e non giocherá nemmeno la Champions con il Milan) invece di Rebic o Leao. E invece il malagueño si è rivelato decisivo sia nel gol del vantaggio sia nel procurarsi quello che sarebbe potuto essere il rigore della sicurezza, poi fallito da Kessié. Infortunatosi Ibra, Pioli ha reinventato l’assetto offensivo dando vita a una squadra più propensa a chiudersi e a colpire la Juve negli spazi. E ha trovato il raddoppio con Rebic subentrato dalla panchina.
La ciliegina sulla torta è stato poi il gol di Tomori, che con Kjaer ha composto una coppia insuperabile per tutti i numerosi e costosissimi attaccanti bianconeri nel corso dei 90 minuti. Insomma quella del Milan è stata una vittoria “di squadra” che ha visto tutti protagonisti. E questa è una lezione per la Juve, ma anche un buon auspicio per Maldini che dovrà costruire il Milan 2021/22 considerando il fatto che il suo trascinatore svedese giocherá, nella migliore delle ipotesi, metà delle partite tra campionato e, adesso lo si può scrivere, Champions League. L’infortunio occorsogli è l’ennesimo della stagione e molto probabilmente costringerá Ibra a saltare due delle tre gare rimaste. Partite che peraltro non sono da sottovalutare perché, dopo aver compiuto l’impresa di battere la Juve, sarebbe davvero imperdonabile farsi sfuggire il meritatissimo ritorno in Champions contro Torino e Cagliari. Fortunatamente, se il Milan vincesse le prossime due, contro l’Atalanta a Bergamo l’ultima di campionato potrebbe anche perderla.